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Il ladro di Bagdad

Regia di Michael Powell, Ludwig Berger, Tim Whelan vedi scheda film

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La recensione su Il ladro di Bagdad

di alan smithee
7 stelle

TFF 36 - POWELL & PRESSBURGER

Da una celebre novella, quella di Aladino, tratta dalla raccolta orientale di varia origine (egiziana, mesopotamica, indiana e persiana, conosciuta come "Le Mille e una notte", il regista Michael Powel, assieme a Ludwig Berger e Tim Whelan, dà vita ad uno dei più noti ed acclamati colossal degli anni '40, girato in un folgorante Technicolor che lo rese per decenni un classico dell'avventura per bimbi ed adulti, generatore del mito divistico del giovane attore indiano conosciuto come Sabu, qui impegnato nel ruolo da protagonista del ladro onesto Abu.

La vicenda, carambolesca e senza un attimo di tregua, è incentrata su quattro personaggi principali: il giovane re di Bagdad, Ahmad, detronizzato con l'inganno dal suo perfido gran Visir Jaffar, il ladruncol oAbu che riesce a trarlo in salvo all'ultimo momento, la bella principessa di Bassora, che si innamora, ricambiata, di Ahmed, ma viene forzosamente data in sposa a Jaffar.

Una rutilante serie di peripezie tra terra e cielo, con tanto di lampada (di Aladino) e genio rissoso e scarsamente affidabile, in grado di assicurare per decenni divertimento e spettacolo alle platee di tutto il mondo.

Certo oggi, viziati dalla tecnologia sempre più perfetta ed appagante che il progresso digitale ci ha reso disponibile, dedicarci a celebrare la grandezza di un duo registico come i qui presenti P&P - anche se Pressburger non risulta coinvolto in questo imponente sforzo produttivo - tramite la visione di un film fantastico che fino a qualche decennio orsono ci sarebbe apparso stupefacente, può al massimo ora ispirarci un senso di ammirazione, tenerezza, oltre che di riconoscimento dello sforzo produttivo ed economico che ha coinvolto maestranze e tecnici di altissimo livello.

Ci troviamo pertanto di fronte ad un colossal faraonico che, ad un solo anno di distanza dall'altro capolavoro hollywoodiano (per vari motivi invecchiato meglio) che è Via col vento, ha goduto di una longeva, duratura giovinezza per decenni, crollando di colpo nell'ultimo trentennio, e finendo per accusare più di tanti altre grandi produzioni di quel calibro, i sintomi di una vecchiaia che ce lo restituisce al massimo come film gradevole, ma datato a tal punto da risultare non sempre in grado di lasciarsi seguire con la stessa emozione che la pellicola può suscitare nel suo concitato incipit.

 

 

 

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