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Miracolo a Sant'Anna

Regia di Spike Lee vedi scheda film

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La recensione su Miracolo a Sant'Anna

di giancarlo visitilli
6 stelle

Quante polemiche! Politiche, sociologiche, giudiziarie, di parte, inutili. Poche in rapporto al prodotto cinema e alla capacità della produzione italiana di seppellire anche uno dei più grandi cineasti di un certo cinema americano, Spike Lee.
A due anni di distanza dallo straordinario documentario, When the Levees Broke (presentato a Venezia e lì confinato), che documentava, dopo appena un anno dalla catastrofe dell’uragano Katrina a New Orleans, ciò che ha immediatamente preceduto e seguito tale catastrofe, Spike Lee, prendendo spunto dall’omonimo romanzo di James McBride, nel film anche sceneggiatore, ha riaperto una pagina di storia, in realtà mai conclusasi. Almeno per quanto concerne la giustizia.
I fatti sono quelli dell’agosto del 1944, in cui quattro compagnie di SS compirono un massacro, pari a quelli di cui solo oggi ce n’è in giro, nel paese di Sant'Anna di Stazzema, in provincia di Lucca. Furono trucidate 650 persone, fra cui donne, bambini e anziani, intere famiglie furono cancellate per sempre.
Tante le tesi, intorno agli avvenimenti: chi sostiene che l’eccidio sarebbe stato compiuto dalle SS come rappresaglia in risposta ad azioni partigiane, e in modo particolare, di partigiani di cui erano a caccia le SS, non appena giunsero nel paese; altri sostengono che fu un atto di terrorismo, premeditato e privo quindi di motivi scatenanti, come ha sentenziato il tribunale militare de La Spezia due anni fa. Motivazione che in questo caso, pur lasciando immutata l’orribile vicenda, cambia di molto la storia.
Lee abbandona la guerriglia urbana e si misura per la prima volta con la guerra, quella vera. In realtà, l’unica certezza è che Miracolo a sant’Anna non è affatto un film sui partigiani, sui nazisti, sulla Resistenza o quant’altro. Esso ha come tema principale la questione razziale, quella dei neri mandati a morire come soldati. Lo stupore è anche il modo attraverso il quale il regista newyorkese racconta, eccedendo nel sentimentalismo, veramente imbarazzante. I 144 minuti dell’estenuante film si avvale di una pessima messa in scena e di un didascalismo pesantissimo, che sovrabbonda da ogni parte. La stessa forza ipnotica e stancante ha il commento sonoro del film: anch’esso stufa e dura 144 minuti. Non uno di meno.
Un commento a parte meritano gli attori: il piccolo protagonista, Angelo, interpretato dall’esordiente Matteo Sciabordi, è una sintesi riuscita malissimo tra il figlio del Benigni de La vita è bella e di Marcellino, pane e vino, finanche Luigi Lo Cascio qui è poco più di una macchietta.
In sostanza, un’opera alquanto deludente, con un finale ridicolo, difficile da considerare fatica del regista di grandi capolavori, basterebbe citarne solo due: 25 ora e Fa la cosa giusta.
Tuttavia, uno spettatore preparato, alla citazione di un film eccezionale, con John Wayne, posto all’apertura del film di Lee, avrebbe giusta ragione di considerarla una sorta di premonizione, trattandosi del titolo Il giorno più lungo. Ma anche lo spettatore non attento, alla fine, aggiungerebbe: …e più noioso.
Giancarlo Visitilli

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