Regia di David Cronenberg vedi scheda film
La Storia si ripete. Seguendo la traccia di Emanuela Martini possiamo ben dire che la storia è già successa. Dopo “A History of Violence” dove la violenza deflegrava nella normalità perchè vi si celava sotto, Cronemberg decide né di farla esplodere al momento giusto né implodere sul finale, bensì la perpetua. Il film inizia che c’è già violenza. E non è un incipit ad affetto a cui seguono i titoli di testa giusto per ammiccare lo spettatore. Tutto è didascalico, impostato con distacco. Sono quadri, a tratti a pastello, a tratti alla Hopper, a tratti sono naturalmente denaturati, ma restano quadri, fissità, schemi, diorami di sovrastrutture di potere, di leggi e codici che già c’erano e, crediamo purtroppo, ancora ci saranno. La bellezza e l’armonia del film sta nel tessere una trama risicata, che si potrebbe concludere in 20 minuti, lungo una vicenda più strutturata, portata avanti quasi con fatica, con volontaria fatica. Ecco che poi guizzano come lampi nel buio momenti chiave del film come ogni apparizione di Armin Muller-Stahl, luciferino capofamiglia russo, e la già celebre lotta nella sauna. Una scena, questa, che nella nudità di Viggo Mortensen sprigiona tutta la primitività dell’uomo, abecedariando l’individuo dalla caccia alla difesa, dall’istinto alla sopravvivenza. L’uomo nudo contro gli esecutori di una gerarchia spersonalizzata, codificata fino alla parodia. Questo è un po’ il senso ultimo con cui me ne sono uscito dopo il film: l’uomo nudo, benchè compromesso da tatuaggi identitari o ruoli istituzional-polizieschi che siano, lotterà sempre contro le forme fissate e mummificate del potere e della morale. Perpetuamente. E poi, infine, straordinario cotè sanguinolento che un maestro dell’horror carnale non poteva evitare, funzionalizzandolo alla storia, realisticalizzando l’effetto brutale e splatter della morte violenta per evitare ogni fraintendimento decorativo. Grande nuovo, ennesimo, spiazzante capolavoro di David Cronemberg.
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