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L'uomo di Londra

Regia di Béla Tarr vedi scheda film

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La recensione su L'uomo di Londra

di Tex61
9 stelle

 

Trasposizione cinematografica di un romanzo di Simenon (che non ho letto), L’uomo di Londra rappresenta le fragilità umane inserite comunque in un quadro di complessivo dramma esistenziale tipico del regista ungherese. Nello specifico le umane debolezze sono tentate, nel protagonista, da un’ingente somma di denaro “sporco” che potrebbe ridisegnare le sorti di un’esistenza nell’ombra, anonima, men che mediocre propria di un’insignificante postazione d’osservazione notturna di un manovratore di scambi. Il prospettato salto di qualità esistenziale di Maloin, la possibilità a lui data di diventare un protagonista, l’opportunità di uscire dal grigiore, di liberare la figlia da un lavoro giudicato non dignitoso e di farle un regalo importante è però minato dal fardello dell’illecita provenienza del “mezzo” attraverso il quale concretizzare il tutto e dalle indagini di un sedicente ispettore londinese oltre che dalla incombente presenza dell’uomo di Londra. Ugualmente gli scrupoli, la rettitudine morale, l’onestà nelle quali sembra dibattersi il protagonista diventano elementi di conflitto che, nel segreto di quell’inaspettata disponibilità economica, turberanno profondamente la vita del protagonista minando anche il suo rapporto matrimoniale. Lo stesso Maloin prenderà infine una decisione ed è questa la fase meno limpida del film o comunque quella dove il regista non da sufficienti spiegazioni comportamentali (o molto più probabilmente io non le ho comprese) considerati gli sviluppi di trama conseguenti.

 

A mio parere è il ruolo del denaro al centro di questo film e in seconda battuta quello della giustizia terrena. Due simboli, tra tanti altri, a sancire l’imperfezione umana, la sua avidità e l’illusione di trovare soluzioni terrene ad un malessere connaturato al vivere stesso. Quindi da una parte il denaro, il suo potere ammaliatore rappresentato in modo quasi grottesco dai due ruffiani venditori di pellicce e/o il suo preteso ruolo di “riparatore” anche delle perdite affettive; dall’altro l’imperfetta e sommaria giustizia terrena che assolve il crimine per “legittima difesa” mentre appare evidente che il frettoloso verdetto viene emesso solo perché è stato raggiunto lo scopo da parte del “giudice”.

 

Il film, con uno stile del tutto particolare e proprio del regista è, ovviamente (visto l’autore del romanzo), riferibile al genere poliziesco e possiede discrete caratteristiche di suspence risultando, ancora una volta, strutturato su una trentina di piani sequenza formalmente raffinati come ci ha abituato Tarr, con qualche punta allo stato dell’arte per esempio nell’inquadratura prospettica della strada interna di Bastia o sul piano sequenza che, partendo da Maloin alla finestra chiude su l’uomo di Londra in strada. Il bar, il bicchiere, le persistenti camminate, la fisarmonica che accompagna l’esibizione quasi da saltimbanco di alcuni avventori; elementi onnipresenti nel cinema di Tarr pervaso comunque da un persistente e palpabile alone di malinconica tristezza anche nelle sequenze più lievi. Io ritrovo comunque una grande poesia in quasi tutto il suo cinema, forse una poesia che genera inquietudine, incertezza, cupa solitudine ma, lo saprà bene chi mi ha letto anche per il passato, questo è un cinema che mi affascina. Come per Perdizione non lo ritengo complessivamente meritevole del massimo dei voti anche se siamo in presenza di grande cinema.

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