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Io sono un campione

Regia di Lindsay Anderson vedi scheda film

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Utente rimosso (SillyWalter)

Utente rimosso (SillyWalter)

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La recensione su Io sono un campione

di Utente rimosso (SillyWalter)
8 stelle

 

      Comincia in mezzo agli urti, il fango e i corpi aggrovigliati di una partita di rugby. Un colpo scorretto lascia a terra Frank (Richard Harris) stordito, con la bocca piena di sangue e alcuni denti rotti. Da quello stordimento e da una successiva anestesia fuoriescono frammenti di flashback. Frank è un ex minatore dello Yorkshire che si è fatto strada soprattutto grazie a rabbia e senso di rivalsa (ottiene il provino per la sua futura squadra facendo a botte col capitano della stessa). Ha una stanza in affitto a casa di Margaret (Rachel Roberts), una giovane vedova con due figli piccoli rimasta appesa a un lutto che ne ha disseccato vitalità ed entusiasmi. Lui si affeziona ma lei gli dimostra poco interesse, è apatica e inaccessibile. Frank cerca ugualmente di scuoterla, di coinvolgerla nei suoi successi. Ne cerca l'approvazione, pensa testardamente di poterla portare con sè fuori dalla tristezza con la forza di volontà, le premure e i regali. Diverranno più intimi ma cresceranno anche i diverbi, le frustrazioni e gli scoppi d'ira.

 

 

      Diretto da Lindsay Anderson (al primo lungometraggio) e prodotto da Karel Reisz, entrambi promotori e prime stelle del "free cinema" inglese, "this sporting life"(titolo orginale) ne rappresenta uno dei risultati più memorabili e (ancor oggi) più sorprendenti. L'inizio è indicativo di uno stile che se da un lato cerca il realismo sociale che il free cinema dichiaratamente abbracciava, dall'altro si sente estraneo a un'obiettività anonima e distante. Per questo motivo il ritratto si addentra nel vivo dei sentimenti più confusi e arroventati, servendosi di ogni mezzo creativo di cui la regia dispone per approdare a una resa credibile e trascinante dell'atmosfera generata dall'emotività dei personaggi. Il realismo non si ferma al dettaglio di superficie ma indaga con rigore e senso etico i drammi intimi dei protagonisti della vicenda e i modi in cui questi la plasmano. 

 

 

      Anderson non rinuncia alla prossimità sia che si tratti di una ruvida mischia in campo, di una serata al pub o dell'espressione della vulnerabilità e della confusione che la ricerca d'affetto rivela nel campione aggressivo (i dettagli del volto di Harris restano impressi tant'è l'attenzione loro riservata). Lo stesso uso del flashback favorisce questa prossimità, calandoci con scarti immediati nella coscienza di Frank, stordito da botte, anestesia e dal riemergere di scene di conflitto, tanto il conflitto della sua guerra quotidiana contro tutto e tutti quanto quello muto e angosciato della convivenza con una donna incomprensibile dallo sguardo ora assente, ora più duro del peggiore scontro fisico.

      Impossibile trascurare il contributo a questa complessa esperienza di un commento musicale piuttosto raro, fatto di minuzie sonore (capaci di suggerire con poco una tensione angosciosa), passaggi d'avanguardia musicale e accenti drammatici puntuali. Quasi pennellate cucite su misura, particolarmente efficaci nell'addensare l'inquietudine e le emozioni inespresse che circolano tra Frank e Margaret. L'autore (apprendo) è Roberto Gerhard, compositore spagnolo allievo e amico nientemeno che di Schoenberg riparato in Inghilterra durante il franchismo. Fu autore di sinfonie, musica da camera, balletti e dei primi esempi britannici di musica elettronica. 

      La struttura temporale e la musica sono certamente il versante più originale (e quasi sperimentale) del film. Insieme contribuiscono a dare dal primo momento una vivacità ed un'energia inattese agli episodi narrati, soprattutto a quelli "di coppia" ma anche ai successi rabbiosi di Frank che, così frammentati, assumono un carattere quasi astratto o, se non altro, una veste depurata dal superfluo, dal "non emotivo". Sono inoltre strumenti indispensabili anche per dar forma nebulosa e tormentata al pensiero di Frank in relazione a Margaret, con scossoni mnemonici e sprazzi (a volte colorati d'incubo) che si lasciano dietro sensazioni di minaccia indefinita, di tensione irrisolta.

 

 

      Per finire due parole sui due magnifici protagonisti, che non passarono certo inosservati come il loro veicolo filmico (un flop ai botteghini inglesi con annessa polemica idiota sui cosidetti "kitchen-sink" dramas...): Harris si guadagnò un migliore attore a Cannes, la Roberts migliore attrice ai BAFTA e tutti e due furono nominati agli Oscar. In entrambi i casi abbiamo a che fare con interpretazioni complesse che coprono un ventaglio enorme di espressioni emotive, da quelle solo suggerite e trattenute a quelle più fisiche e manifeste. Harris si produce in una prova monumentale. Al centro di ogni scena dal primo all'ultimo secondo del film, dà vita a un personaggio di spiccata fisicità in lotta perenne con tutto, inclusi i ricchi proprietari del club che lo trattano dall'alto in basso e le continue sensazioni d'inadeguatezza causate dalle umili origini. E al contempo trova il modo di rendere credibili la sua vulnerabilità, la sensibilità cameratesca e gli slanci affettivi verso una donna più dura di lui. E  la Roberts è altrettanto (se non più) grande nell'incarnare le diverse facce della disperazione. Gli occhi e i modi sono quelli del vero annebbiamento luttuoso di chi è consumata dai ricordi e dalle angosce e quando si lascia andare alla rabbia e al disgusto è capace di sguardi tremendi, intollerabili e indimenticabili. Insieme costruiscono un duetto di grande intensità (sia esibita che accennata), un confronto che coinvolge pienamente per la sua forza e i suoi dettagli, nonostante il loro sia a tutti gli effetti un rapporto forzato e distruttivo, una storia d'amore mai nata, fondata sulla solitudine, la ricerca di una tregua nella lotta, il bisogno di illudersi di poter costruire un futuro diverso.

 

 

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