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L'invenzione di Morel

Regia di Emidio Greco vedi scheda film

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La recensione su L'invenzione di Morel

di maso
8 stelle

Astratto e surreale ma soprattutto di altissimo fascino enigmatico "L'invenzione di Morel" è un film che oltre a non far torto alla sua matrice letteraria fonde al meglio le atmosfere di film ad esso  poco antecedenti intrisi di ipnotica potenza come "L'anno scorso a Marinebad" e "Solaris" ma anche successivi come "Shining" senza però apparire come un loro duplicato bensì come una loro proiezione più terrena e contemporaneamente fantascientifica.
Il naufrago interpretato con grande sensibilità da Giulio Brogi ingrigito nel volto con lo sguardo rassegnato e spaesato si aggira nell'isola del dottor Morel con il solo scopo di sopravvivere il più a lungo possibile alla sua solitaria età ma fra le mura dello stravagante caseggiato che domina le rocce compaiono delle ombre umane dai costumi in stile anni trenta per le quali il naufrago è una presenza  impalpabile ed eterea , il vero fantasma sembra essere lui non potendo in alcun modo interagire con loro, può solo osservare incantato una bellissima ragazza che ha il volto di Anna Karina e le azioni ciclicamente identiche di quelle proiezioni della realtà scaturite dall’invenzione del dottor Morel, un giovane e diabolico John Steiner mastro burattinaio, creatore despota, proiezione lui stesso della sua immagine, regista manovratore di una macchina da presa che come al cinema fissa una realtà fittizia che si ripete all’infinito con un semplice giro di manovella o in tempi più moderni schiacciando un pulsante, ideata con l’intento di cristallizzare uno stato di benessere eterno anche a costo di annullare la vita stessa.
Il film è pieno di spunti  di riflessione sul rapporto fra realtà vera e sognata, fra il desiderio di fuga e l’impossibilità di trovare l’equilibrio incrollabile, la raffigurazione  dell’amore idealizzato e la sua  sfuggevolezza che indistintamente colpisce il dottor Morel che lo ha creato con le caratteristiche a lui congeniali e che nonostante ciò non riesce ugualmente a viverlo perché artificioso e quando l’amore è privo di spontanea naturalezza semplicemente non può dirsi tale, anche il naufrago che lo ha trovato per caso nel vortice dei venti che soffiano sul suo tortuoso cammino non riuscirà ad ottenerlo neanche con la rinuncia alla materia fisica, alla integrità, quel buco nella parete si richiude e si riapre ciclicamente perché  uno spazio creato con la forza non può che rappresentare un buco nero nello spazio temporale di una riproduzione della vita duplicata da un meccanismo sofisticato complicato incomprensibile inventato da uno scienziato tattico romantico e crudele spinto dal desiderio di possedere una schiava umile e non una santa con candele che si rivelerà essere invece una venere impalpabile, irraggiungibile, incapace anche di dire la più semplice delle affermazioni come non sono tua.
La struttura narrativa è ammaliante come la storia che dopo un avvio dominato dal fiato del vento, dai flutti del mare, dai passi del naufrago sfocia in dialoghi astratti e fantomatici per raggiungere l’ultimo ricchissimo segmento in cui la bella regia silenziosa  di Greco ripete situazioni ed argomenti esposti da differenti prospettive che ad ogni riproposizione acquistano un significato più chiaro ma che inesorabilmente rimescola le carte e genera nuovi spunti e ovvi interrogativi, il finale poi riprende esattamente quello del libro ma Greco riesce anche ad andare oltre aggiungendone un secondo di suo pugno con cui riesce a darci il punto di vista sulla relazione che c’è fra l’uomo e la macchina, la mia impressione invece è fortemente orientata nel decretare senza dubbi una simbiosi fra il regista e Morel, fra il meccanismo e la macchina da presa, fra l’invenzione e il film, in fondo l’immortalità sulla terra non è stata ancora raggiunta ma al cinema si.
Opera di grandissimo valore artistico, esempio di cinema magico prodotto con pochi mezzi che piace parecchio al vecchio Maso amante impenitente degli irripetibili anni settanta.

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