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Red Road

Regia di Andrea Arnold vedi scheda film

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La recensione su Red Road

di maurizio73
6 stelle

Addetta alla sala di controllo di una società di security di Glasgow, osserva dai suoi monitor l'uomo che, uscito di prigione anzitempo, gli aveva qualche anno prima ucciso in un incidente stradale marito e figlioletta. Decisa a vendicarsi, inizia a pedinarlo, conoscerlo e carpirne la fiducia. La sua frustrazione e la sua rabbia dovranno però fare i conti con un inaspettato senso di umanità e con la necessità di un perdono che la riappacifichi con il presente.

 

 

Esordio fortunato e insignito del Premio della giuria al 59° festival di  Cannes , il primo lungometraggio dell'attrice, scrittrice e regista britannica Andrea Arnold è un dramma sociale che si nutre delle pulsioni scopiche che sembrano pervadere una modernità ossessionata dal controllo (della propria e dell'altrui vita) e dalla sicurezza, disseminando il percorso degli individui (di chi viene osservato quanto di chi osserva) di un sistema di telecamere invasive e pervasive che annullano tanto il concetto di privacy (cosa si nasconde dietro la vita delle persone che ci passano accanto per strada?) quanto la certezza non meno labile e precaria di deterrenza verso il male e il dolore che la vita può infliggere.

 

 

Dietro questo presupposto teorico, giocato su di un paradigma meta-cinematografico non certo originale, si muove un racconto che alterna il realismo della descrizione d'ambiente e la presunta attendibilità psicologica dei caratteri (è forte una matrice teatrale nella rappresentazione di personalità in conflitto) che si appiccica letteralmente ai personaggi con la perniciosità di una soggettiva quasi senza respiro (frequenti i piani ravvicinati cui si trova respiro solo in studiate prospettive paesistiche in campo lungo), cercando i codici di un naturalismo che non rimanga estraneo alle emozioni ed alle pulsioni umane. Il risultato appare forse un pò troppo studiato per apparire credibile, tanto per il didascalismo di un 'oscuro scrutare' che sembra non lasciare scampo nemmeno al dettaglio più insignificante (portafogli rubati, coltellate all'addome, ricongiungimenti filiali) quanto per la prospettiva esemplare di una storia di dissimulazione, vendetta e perdono che se riesce a trovare una sua chiusa ammirevole (una figlia perduta ed una ritrovata) appare però legata all'ennesima, prevedibile variante del melodramma raffreddato del cinema inglese.
Attori superlativi (bravissimo Curran almeno tanto quanto la Dickie) e notevole misura di un registro che passa dal thriller psicologico dell'incipit alle più classiche dinamiche del dramma familiare della seconda parte. Quando si dice non perdere d'occhio qualcuno.

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