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I giorni dell'abbandono

Regia di Roberto Faenza vedi scheda film

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La recensione su I giorni dell'abbandono

di FABIO1971
4 stelle

"Sento un vuoto di senso che mi fa stare male": sono le parole con cui Mario (Luca Zingaretti) prova a spiegare alla moglie Olga (Margherita Buy) il proprio stato di malessere per non rivelarle subito che ha una relazione con un'altra donna. Alla fine trova il coraggio ed abbandona la moglie e i due figli: Olga sprofonda, così, in una straziante disperazione da cui riuscirà a risollevarsi soltanto dopo l'incontro con il vicino di casa violinista (Goran Bregovic), che verrà ad alleviare i suoi "giorni dell'abbandono" e saprà conquistarla. Abbandonata prestissimo l'accorata virulenza dei suoi rabbiosi esordi sessantottini (Escalation e H2S), il torinese Roberto Faenza ha percorso con risultanti altalenanti le vie di un cinema d'ispirazione letteraria (Schnitzler, Tabucchi, Maraini, Yehoshua) troppo spesso calligrafico e manieristico nel trasfigurarne sullo schermo gli umori più vitali. Affidandosi per I giorni dell'abbandono a uno spropositato team di sceneggiatori (in rigoroso ordine alfabetico: Gianni Arduini, Simona Bellettini, Diego De Silva, Dino e Filippo Gentili, Anna Redi, più lui stesso), finisce anche in questo caso per edulcorare l'efficacia della pagina trasformando la cronaca di un'intima deriva esistenziale in un'illustrazione patinata e senza sussulti dei tormenti amorosi dei suoi protagonisti, personaggi freddi e terribilmente distanti dalla plausibilità del vivere quotidiano: all'omonimo romanzo (2002) dell'Elena Ferrante di L'amore molesto, infatti, Faenza riserva una trasposizione modesta e superficiale, avara di finezze drammaturgiche ed incapace di sfruttare le suggestioni dell'ambientazione torinese, con gli attori in perenne attesa di scene madri concitate e risibili, smarrendo lucidità d'ispirazione ed incisività tra grossolane cadute di stile (la soggettiva del ramarro) e simbolismi artificiosi (il personaggio della barbona). Vorrebbe replicare il successo di L'ultimo bacio (bissandone la scelta di affidare a Carmen Consoli, in colonna sonora, la title track che accompagna il liberatorio scorrere dei titoli di coda) e invece finisce per regalare soltanto banalità da fiction televisiva, sentimentalismo a buon mercato ed emozioni epidermiche.

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