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Il fiume del grande caimano

Regia di Sergio Martino vedi scheda film

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La recensione su Il fiume del grande caimano

di FABIO1971
4 stelle

"È il mio film della trilogia avventurosa meno riuscito. Già si sentiva il grande gap con il cinema americano, che iniziava, con gli effetti digitali, a prendere un vantaggio incolmabile sulle nostre tecniche. Era l'inizio di un declino che avrebbe raggiunto il suo apice alla fine degli anni Ottanta, anni che hanno devastato la nostra industria, votata agli 'inciuci' di Tangentopoli e non ad un rinnovamento tecnologico che invece in altri paesi determinava un miglioramento continuo e sorprendente. Penso che il crollo del nostro cinema, a livello industriale, e del nostro paese in genere, come competitività, sia iniziato in quegli anni. Prima, la nostra arte di arrangiarsi, con la genialità e l'improvvisazione, riusciva a giocarsi la partita".
[Sergio Martino]

Paradise House, un albergo di lusso nella giungla tropicale: "Un vero paradiso: nessun altro parco ha una fauna così ricca di tante varietà. Più di 700 specie di uccelli esotici ed acquatici, elefanti, coccodrilli, rettili, gazzelle. Ma le assicuro che non lo rifarei, c'è voluta un'opera di alta ingegneria per riuscire a rispettare le esigenze ecologiche: per farsene un'idea, le dico solo che per portare qui il materiale e le attrezzature ci vogliono tre mesi di battello. E i fiumi si possono risalire solo quando sono in piena". Così lo descrive Joshua (Mel Ferrer), il suo ideatore, al fotografo Daniel Nessel (Claudio Cassinelli), contattato per immortalarne le meraviglie e pubblicizzarle sulle riviste di grido. L'antropologa Alice Brandt (Barbara Bach), assistente di Joshua, è l'affascinante guida di Daniel tra i vari ambienti del parco naturale:
"Com'era qui, prima?".
"Prima di cosa?".
"Prima che veniste voi a rovinare tutto con il vostro paradiso...".
"Dipende: vivere di caccia e di pesca, allevare i piccoli, rispettare gli anziani ed avere ogni cosa in comune con la tribù. Ma vivere in media soltanto trent'anni. Questo per te che cos'è, paradiso o inferno?".
Joshua, ultimati i preparativi logistici, è pronto ad aprire al pubblico la sua lussureggiante creatura:
"Voglio che tutta la pubblicità sia impostata sulla verginità della natura", spiega a Daniel, "vede, oggigiorno chi può permettersi una settimana di verginità non è uno che bada a spese: domani arriva il primo gruppo, è solo un esperimento pilota. Se funziona, organizzeremo club, voli charter, gite in gruppo per tutto l'anno". Ha già pronto anche il lancio commerciale: "Venite in paradiso oggi stesso, domani non è detto che ci andiate".
Ma le acque del fiume su cui sorge il complesso turistico sono infestate da un gigantesco e mostruoso coccodrillo: è un eremita, padre Jonathan (Richard Johnson), unico sopravvissuto di una comunità di missionari massacrata dall'animale, a spiegare a Daniel e ad Alice che si tratta, invece, di un caimano, incarnazione vivente, secondo le credenze degli indigeni della zona, di una sanguinaria divinità, il grande dio del fiume. Per i malcapitati ospiti dell'hotel è l'inizio di una disperata e terrificante lotta per la sopravvivenza.
Il fiume del grande caimano, terzo ed ultimo capitolo della trilogia horror-avventurosa avviata da La montagna del dio cannibale e proseguita con L'isola degli uomini pesce, prima del definitivo passaggio, con rarissime eccezioni, di Martino alla commedia(ccia), ne costituisce l'episodio meno riuscito: deludente e mai realmente appassionante, appiattito da uno script (firmato da Martino insieme a Luigi Montefiore, Cesare Frugoni, Ernesto Gastaldi e sua moglie Mara Chianetta) drammaturgicamente prevedibile, con personaggi senza spessore, cameo insulsi come quello di Richard Johnson, brividi e tensione di modesta resa spettacolare. Ben poco, poi, aggiungono alla riuscita complessiva del film, i ritmi tribali della colonna sonora di Stelvio Cipriani, la fotografia di Giancarlo Ferrando e le scenografie curate da Massimo Antonello Geleng, oltre alle mediocri performance del cast d'interpreti, tra cui appare anche una giovanissima Lory Del Santo. Un'opera derivativa (ispirata a Lo squalo e alla sua progenie cinematografica, dal suo primo sequel a Piraña, L'orca assassina, Tentacoli e così via, ma c'è anche qualche "spruzzata" di King Kong), girata in fretta e furia per non sforare con il budget ultra-ridotto (scelta evidente, ad esempio, negli effetti speciali spartani con cui viene ricreato il mostruoso caimano, realizzato da Carlo De Marchis) e sfruttare le locations degli esterni in Sri Lanka, visitate l'anno precedente per La montagna del dio cannibale. Tanti, troppi difetti, quindi, per salvare il film, ma qualche lampo di originalità è ugualmente presente. L'idea alla base di Jurassic Park, infatti, nasce proprio qui: verificare, ad esempio, al di là delle similitudini della vicenda (il parco tematico visitato dai turisti), l'incredibile somiglianza dei cartelli che nel film segnalano le attrattive del luogo con il logo e le grafiche del blockbuster di Spielberg. Magra consolazione, comunque...

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