Espandi menu
cerca
L'intendente Sanshô

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Utente rimosso (SillyWalter)

Utente rimosso (SillyWalter)

Iscritto dal 30 novembre -0001 Vai al suo profilo
  • Seguaci 1
  • Post 1
  • Recensioni 115
  • Playlist 29
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su L'intendente Sanshô

di Utente rimosso (SillyWalter)
10 stelle

Un messaggio di compassione di portata sovrumana, forte come il legame che lega a una madre, capace di rinascere nei cuori inariditi come un istinto o una memoria lontana

 

 

Nel Giappone medievale un governatore idealista viene esiliato per essersi schierato dalla parte dei contadini contro le pretese di un signore feudale. Qualche tempo dopo il resto della famiglia finisce in mano ai mercanti di schiavi. La moglie Tamaki è costretta a prostituirsi mentre i figli Zushio e Anju vengono venduti al brutale intendente Sansho, che li destina fin da piccoli ai lavori più pesanti. Dopo dieci anni di schiavitù Zushio è cambiato, inaridito e incattivito, mentre sua sorella Anju è riuscita nonostante tutto a conservare uno spirito sensibile e altruista. Un giorno Anju sente una nuova schiava intonare una canzone che parla dell'amore di una madre per i figli Zushio e Anju e apprende che l'autrice della canzone è una cortigiana del paese natale della nuova arrivata. L'inatteso messaggio rinnova in lei la speranza di rivedere i genitori e attraverso il suo entusiasmo anche Zushio comincia a credere nella possibilità di un futuro diverso. 

 

 

Sorprendente e potente. Molto più di quel che dica la storia. In mano al 90% degli autori sarebbe venuto fuori un melodramma di buoni sentimenti insopportabilmente zuccherino. L'INTENDENTE SANSHO invece, pur manifestando apertamente il messaggio e dando immediata voce ai valori ("senza compassione un uomo è come una bestia") appare comunque asciuttissimo. 

 

È questione di contrappesi? Ai buoni sentimenti risponde una BRUTALITÀ enorme, strutturale e pervasiva: soprusi "governativi", schiavitù legale, strade infide rifugio di briganti e mercanti di schiavi. È una brutalità che ha una dimensione visiva eccezionale: schiavi marchiati in fronte e prostitute azzoppate se tentano la fuga, bambini venduti come schiavi che hanno davanti a sè una vita di lavoro fino a che, ormai inutili e infermi, non verranno lasciati ancora vivi in un cimitero ad attendere la morte. Vediamo le tappe di una vita intera passata in schiavitù, a dirci che la brutalità ci circonda, domina la scena e il futuro più prossimo. Non è la storia di una vittoria, di un Lincoln che libera gli schiavi. È piuttosto la storia di una guerra di civiltà appena cominciata (nel momento più svantaggiato quindi più coinvolgente), la storia di alcuni semi di umanità messi in circolo, della sopravvivenza (quasi irragionevole) di compassione e solidarietà in condizioni disperatamente avverse. 

 

scena

L'intendente Sanshô (1954): scena

 

L'INGIUSTIZIA è anch'essa dimensionata visivamente, sono evidenti i LIVELLI della struttura feudale: gli schiavi a faticare nel fango, l'intendente Sansho un livello più su nel palazzo che domina il campo degli schiavi. Poi all'emissario del signore feudale in visita (e in seguito a Zushio diventato governatore) viene concessa da Sansho una posizione prominente (l'abitudine all'inchino della cultura giapponese non è casuale: stabilire gerarchie evidenti, farsi servo di...). Il Primo ministro sta addirittura su una passerella sopraelevata con un codazzo di lacchè (barriera umana e architettonica) quando Zushio cerca di incrociarlo. E il povero Zushio si nasconde sotto il livello della passerella, ha una lettera di presentazione, fa il diavolo a quattro ma non viene quasi notato. 

 

 

 

La composta magniloquenza di Mizoguchi serve al meglio la lotta tra queste enormi forze contrapposte . Più volte la brutalità si esprime in quadri semplici ma di grande complessità narrativa. Nelle scene della marchiatura dei fuggitivi e quando la madre viene azzoppata per quanto gli atti brutali veri e propri siano fuori scena abbiamo, riuniti in un'unica composizione, l'urlo delle vittime, il sadismo degli aguzzini, l'indifferenza dei padroni che ordinano le sevizie e gli altri schiavi partecipi e terrorizzati che più in profondità guardano e reagiscono all'atto subito dalle vittime (amplificandone l'effetto per lo spettatore). Con il minor movimento di camera possibile si accostano e si sovrappongono nella stessa scena reazioni emotive molto forti. È una narrazione di grandissima ampiezza (finisce fuori scena) e grandissimo voltaggio emotivo e che oltretutto lievita di significato come rappresentazione-mosaico delle forze (e degli istinti) che si contrappongono nell'uomo e nella società tutta. E tuttavia è una narrazione che non imbecca lo spettatore, non guida eccessivamente il suo sguardo, lasciandogli l'impressione di essere di fronte alla complessità non ancora decodificata tipica della realtà. 

 

 

 

La frattura definitiva che allontana i componenti di questa sciagurata famiglia ha luogo nella bellissima scena dei mercanti di schiavi sulla spiaggia. Per quanto la regia sia più varia rispetto agli esempi precedentemente citati, come in quelle scene anche in questa il picco emotivo (dopo un continuo crescendo) si ottiene in inquadrature che vedono più elementi significativi riuniti ed accostati: Zushio e Anju su una lingua di terra cercano di divincolarsi dai malviventi protendendosi verso la madre che, in secondo piano, viene portata via su una barca (e viceversa, tra campi e controcampi). La scena è particolarmente potente perché, come in precedenza, è complessa e stratificata: si svolge su più piani, usa al meglio la profondità di campo per affiancare due gruppi, due "azioni" ugualmente importanti, è simbolica (si sta scavando un baratro, c'è il mare come ulteriore barriera a dividerli...), e qui, inoltre, abbiamo uno stimolo in più sotto forma di musica dissonante che si sovrappone quando il dramma diventa evidente. Ma la complessità e la concitazione rimangono comunque "interne" e non intaccano mai (qui come altrove) la fluidità, l'eleganza e l'essenzialità dei movimenti di camera e del montaggio. 

 

 

Di fronte a tutte queste barriere e livelli il significato del viaggio di questa famiglia frantumata diventa costruire ponti tra esseri umani a scavalcare prigioni, distanze, differenze di ceto, e anche la morte: il padre comunica anche dal mondo dei più attraverso il ricordo dei valori trasmessi, ma anche attraverso un esempio che genera ampi riverberi non solo sui membri della famiglia. Tant'è che i contadini da lui beneficiati continuano a portare fiori freschi sulla sua tomba dando un senso all'idea di seminare per il futuro, di mettere in circolo un virus positivo, che è poi quel che fa anche Zushio col gesto apparentemente inutile di liberare gli schiavi in un mondo in cui schiavitù e disuguaglianza sono ancora i cardini della società. Quel che ci viene mostrato è un messaggio di compassione di portata sovrumana, forte come il legame che lega a una madre, capace di rinascere nei cuori inariditi come un istinto o una memoria lontana, e di superare le più severe barriere che dividono gli uomini. Questa famiglia, tutto sommato, ne esce un po' malconcia e decimata, ma il messaggio con cui il film aveva aperto risulta vittorioso, arriva in fondo intatto e lungo il tragitto riesce pure a far proseliti (non solo i contadini riconoscenti, ma anche il figlio dell'intendente Sansho che si fa monaco e poi aiuta Zushio in fuga, senza dimenticare ovviamente agli episodi di compassione e solidarietà tra schiavi). 

 

scena

L'intendente Sanshô (1954): scena

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati