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Ma quando arrivano le ragazze?

Regia di Pupi Avati vedi scheda film

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La recensione su Ma quando arrivano le ragazze?

di LorCio
7 stelle

Si incontrano grazie alla comune passione per la musica jazz, Nick (l'affascinante e bastardello Santamaria) e Gianca (il timido e compassato Briguglia), l’uno proletario talentato ed affascinante, l’altro borghese appassionato e pacato. Si innamorano della stessa ragazza (la splendida Vittoria Puccini), una delle dieci più belle di Bologna, litigano, si vogliono bene, si imparentano, prendono strade diverse. Perché non bisogna mai confondere la passione col talento (difatti Gianca ha scelto di fare il commercialista, e Nick prosegue la folgorante carriera).

 

È questa la morale (c’è sempre una morale della storia nei film di Pupi Avati) dell’opera del maestro bolognese, che, come i buoni vini, invecchiando migliora, un’educazione sentimentale raffinata e sensibile, con chiari cenni autobiografici (l’amicizia-rivalità con Lucio Dalla e le proprie frustrazione da musicista mancato) e passo lieve e delicato.

 

Ci sono tutte le tematiche dell’universo avatiano (l’amicizia maschile tradita, i sentimenti della giovinezza, la fatica del diventare adulti, l’affacciarsi del femminile, lo scardinarsi del gruppo sotto i colpi del destino), ed è un film leggero, libero e liberatorio, testimonianza della vitalità del nostro Pupi, eclettico e prolifico maestro che si diverte – come in questo caso – a parlare di sé stesso ma non in forza autoreferenziale, bensì per esprimere un concetto più vasto e trattare sul presente (anzi, sulla quotidianità).

 

Per scandire il correre degli anni (dal 1994 in poi), c’è la curiosa metafora delle comete, simbolici elementi delle carriere dei veri artisti. Nostalgia canaglia, verrebbe da dire, anche riguardo la figura femminile capitale del romanzo (pardon, del film – che pare un romanzo), ritratta quasi in forma elegiaca, altro fondamentale tassello di quello che può definirsi l’ennesimo racconto umano e personale di Avati.

 

Bellissimo recupero di Johnny Dorelli nella parte del padre di Gianca, quasi un alter ego dell’autore per ragioni anagrafiche. Le struggenti musiche del fidato Riz Ortolani impreziosiscono ulteriormente il valore di questo film girato col filtro della memoria ma guardando al presente. E il prologo e il finale nei giorni nostri, con quegli sguardi e quell'amarezza, appartengono al miglior cinema avatiano.

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