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Figlio mio, infinitamente caro...

Regia di Valentino Orsini vedi scheda film

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La recensione su Figlio mio, infinitamente caro...

di LorCio
6 stelle

Il parco e valoroso Valentino Orsini (sette film di finzione in quarant’anni) chiude la sua carriera nel cinema di fiction (morì sedici anni dopo l’uscita di questa opera) con un film durissimo e complesso che concentra la sua attenzione su due problematiche assai sentite nell’Italia degli anni bui. Sin dal titolo, la storia si focalizza sul rapporto tra un padre e figlio sfaccettato e complicato suddiviso in tre parti parti: una prima sezione in cui lo sconvolto padre cerca di salvare il recalcitrante figlio dall’eroina; una seconda in cui il padre scende nelle tenebre della droga per cercare di capire e di assistere il figlio; e una terza nella quale il figlio si è salvato, al contrario del padre ormai immerso nel tunnel della tossicodipendenza. Accanto a queste due figure, due donne: un’amica (compagna?) del figlio, tormentato angelo del male (tossica e lussuriosa) e la compagna del padre, attonita e disperata.

 

Due anni dopo la pugnalata allo stomaco di Amore tossico, il cinema italiano torna ad affrontare il drammatico tema del dilagare della droga, che abbraccia mortalmente sia la buona borghesia incarnata dal protagonista che il sottoproletariato degli spacciatori e della ragazza del figlio. Il tono è certamente più affievolito rispetto al film di Caligari e l’effetto è meno traumatico, e non è un caso che alla fine il vero interesse non stia tanto nel fatto che il padre si voglia fare, quanto nel perché il padre si voglia fare. Sicuramente impressiona che un signore di successo e di mezz’età si abbandoni all’ineluttabilità del male, ma la droga passa quasi in secondo piano, diventa paradigma delle dipendenze.

 

Dramma pesante ma dal buon ritmo, perde un po’ quota nella seconda parte forse troppo caricata, ma ha i suoi difetti in una sceneggiatura qua e là retorica probabilmente in difficoltà con un tema delicato da affrontare con le pinze (e tragicamente diffuso). In ogni caso, un film sincero e necessario nonostante le imperfezioni, retto da una magistrale prova di Ben Gazzara (con la voce di Ferruccio Amendola), che in Italia era già stato un ladro per Monicelli, un alcolista per Ferreri e sarebbe stato un camorrista per Tornatore: ci vuole talento per indagare così il lato oscuro.

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