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Man on Fire

Regia di Tony Scott vedi scheda film

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La recensione su Man on Fire

di degoffro
7 stelle

"L'arte di Creasy è la morte: sta per dipingere il suo capolavoro!"
Tony Scott all'ennesima potenza. Chi ama il cinema patinato, ipertrofico, pubblicitario, pompato, estetizzante, accelerato ed esagitato del regista si accomodi e si goda il sontuoso, nevrotico ed adrenalinico spettacolo. Per gli altri invece d'obbligo astenersi. "Man on fire" è un action furibondo e scatenato, violento e reazionario, vendicativo e giustizialista, rozzo e buzzurro, sporco ed ambiguo, persino parecchio bastardo, che impiega troppo tempo per carburare ma quando ingrana la marcia giusta va a mille e non si ferma più. Diviso nettamente in due parti. La prima eccessivamente diluita, melensa, sentimentale e patetica è incentrata sul ritorno alla vita di John Creasy, solito ex agente CIA, alcolizzato, abbruttito ed alla deriva, "una pecorella smarrita" come si definisce a Suor Anna, la direttrice della scuola frequentata da Pita. Creasy viene ingaggiato, grazie alla buona parola di un amico/collega di vecchia data, per proteggere la piccola Pita Ramos, figlia di un ricco industriale messicano, fortemente preoccupato dall'ondata di rapimenti che sta sconvolgendo Città del Messico. A contatto con la piccola, l'uomo, dopo un iniziale insofferenza (anche perchè la baby diva Dakota Fanning è oggettivamente insopportabile), ritrova una certa serenità e si affeziona alla bimba, dandole lezioni di nuoto, ripetizioni in varie materie scolastiche ed insegnandole persino a ruttare durante le lezioni di pianoforte. Per Pita John è come l'orsacchiotto di peluche che porta sempre con sè a nanna (definisce la sua guardia del corpo "un grosso orso triste") e diventa una figura di riferimento ("Oggi è lei suo padre" dice sempre Suor Anna a Creasy prima della gara di nuoto). Quando Pita viene rapita e Creasy ridotto in fin di vita, una volta ripresosi, la sua rabbia è destinata ad esplodere in modo brutale e definitivo. Dopo "Revenge" Tony Scott racconta ancora una volta la storia di una cruenta ed atroce vendetta. Il regista sceglie una messa in scena allo stesso tempo glaciale e sovraccarica, secca e tronfia, concisa e ridondante, abusa in virtuosismi formali, stereotipi, retorica e musica, ma senza alcun dubbio torna ai livelli dei suoi titoli migliori quali "Nemico Pubblico", "Una vita al massimo" e "L'ultimo boyscout". Rispetto infatti al monocorde "Allarme rosso" (prima sua collaborazione con Denzel Washington) e all'ingarbugliato e verboso "Spy game" (con la coppia Redford/Pitt), entrambi peraltro parimenti tediosi ed inutili, "Man on fire" regala due ore abbondanti di cinema elettrico e vibrante, senza un attimo di tregua, a tratti quasi travolgente nel suo crescendo inarrestabile di tensione. Il fatto poi che si parta da episodi che accadono realmente (1 sequestro ogni 60 minuti in America Latina, nel 70% dei casi la vittima non sopravvive, avvertono le allarmanti didascalie iniziali, su titoli di testa dinamici ed esaltanti che catapultano subito nel cuore vivo e caldo dell'azione), facilita l'identificazione ed il coinvolgimento emotivo. Ottimo il finale tutt'altro che lieto e consolatorio. Denzel Washington, che porta al collo la medaglia di San Giuda, "protettore delle cause perse" regalatagli da Pita, fa del motto dell'amico Walken ("La pallottola è l'ultima verità") la sua regola di vita ed è molto più spietato e crudele che in "Training Day" ("Farà più giustizia lui in un week end che 10 anni di lungaggini dei vostri tribunali, quindi si tolga di mezzo" avverte laconico Rayburn), ma sceglie saggiamente una recitazione meno urlata e sopra le righe. Così anche se nel film lo vediamo compiere ogni tipo di violenza (dita e orecchie mozzate, mani tranciate via, bombe nel retto anale e così via), l'attore risulta ben più credibile ed efficace rispetto al film che gli ha dato il secondo Oscar della sua carriera. Da applausi quando dice alla prima delle sue vittime, barbaramente torturata per strappargli notizie sui personaggi coinvolti nel rapimento: "Buon viaggio per l'altro mondo: ti assicuro che non sarai solo!". Intorno a lui un cast di lusso in vacanza premio che va da Christopher Walken a Mickey Rourke (relegato peraltro a sole due inutili scene), dal nostro Giancarlo Giannini (in un ruolo superfluo) a Radha Mitchell (era la protagonista di "Melinda & Melinda" di Woody Allen). Battuta da annotare: "In chiesa dicono che bisogna perdonare". "Il perdono è una cosa fra loro e Dio. Io provvedo a organizzargli l'incontro." La sceneggiatura, dirompente ed eccessiva, accorta e spicciola, intrigante e convenzionale, cruda e romantica, è firmata dal premio Oscar ma altalenante Brian Helgeland ("L.A. Confidential", "Mystic River", "Payback", "Debito di sangue" e "L'uomo del giorno dopo" i suoi titoli migliori, ma nel suo curriculum ci sono anche fesserie come "Il destino di un cavaliere", "La setta dei dannati", "Assassins"), ed è tratta dall'omonimo romanzo di A.J. Quinnell, che già aveva ispirato il film franco italiano "Pericolo in agguato" - "Man on fire" in originale - di Elie Chouraqui con Scott Glenn e Danny Aiello (nel cast anche i nostri Alessandro Haber e Laura Morante). Ottima la fotografia di Paul Cameron ("Collateral"), montaggio febbrile e potente di Christian Wagner ("Face/off", "Il negoziatore", "Mission Impossible 2"), musiche elettrizzanti firmate da Harry Gregson-Williams ("Shrek", "In linea con l'assassino"). Stilisticamente ed esteticamente discutibile e non per tutti i gusti ma comunque nell'occasione assai funzionale ed adeguato, anche se alla lunga a rischio saturazione, a livello di contenuti riprovevole e non certo condivisibile (in fondo il personaggio di Denzel è l'ennesimo vendicatore solitario, una macchina da guerra implacabile ed abilissima con ogni tipo di arma di fronte alla quale i vari Stallone e Schwarzenegger sembrano angioletti), il film è un blockbuster energico e grintoso, appassionante ed aggressivo in cui commozione e rabbia vanno felicemente a braccetto e che si segue tutto d'un fiato, senza mai guardare l'orologio. Cosa pretendere di più da un'opera di puro intrattenimento? Per un budget stimato di circa 70 milioni di dollari, l'incasso al box office americano è stato di 80 milioni di dollari (34° nella classifica generale degli incassi). Malissimo è andata in Italia dove il film, distribuito dalla Fox dopo l'anteprima nazionale al Festival di Venezia del 2004 nella sezione "Mezzanotte", ha incassato la ridicola cifra di 1 milione e mezzo di Euro. Curiosità. Tony Scott era inizialmente previsto per dirigere l'originale negli anni ottanta, ma lo studio si è poi tirato indietro, perché il regista non aveva ancora grossi successi alle spalle ("Top Gun" era di là a venire) e il suo curriculum non era tale per affidargli un progetto ambizioso. Sia a Michael Bay che ad Antoine Fuqua è stata offerta la possibilità di dirigere il film: il secondo però era già occupato con la produzione di "King Arthur". Il ruolo di Creasy è stato offerto anche a Robert De Niro, Will Smith e Bruce Willis, tutti già attori per Tony Scott, mentre Marlon Brando era la prima scelta per il ruolo di Rayburn poi andato a Walken. Denzel Washington è entrato a far parte del progetto grazie ad un occasionale incontro con il regista Tony Scott dal medico. I due non si vedevano di persona dai tempi di "Allarme rosso". Scott aveva visto la notte prima Dakota Fanning in "Mi chiamo Sam" e vedendo Washington ha pensato bene di usare i due attori insieme nel suo nuovo film. Henry Bean ("Affari sporchi", "The believer", "Basic Instinct 2") ha collaborato alla revisione della sceneggiatura. Lo sceneggiatore Brian Helgeland ha visto il primo "Man on fire" grazie al noleggio della relativa videocassetta sul finire degli anni ottanta. Entrato nel video store dove lavorava Quentin Tarantino ha chiesto al futuro regista di "Pulp Fiction" cosa ci fosse di buono e Tarantino gli ha raccomandato proprio "Man on fire". Voto: 7

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