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Il castello errante di Howl

Regia di Hayao Miyazaki vedi scheda film

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La recensione su Il castello errante di Howl

di Alvy
7 stelle

Il miracolo stavolta non riesce

 

Mi assumo la piena responsabilità di questa frase: Miyazaki non è un buon sceneggiatore. Non me ne vogliano i fan duri e puri ma le sue qualità artistiche risiedono in ogni aspetto della realizzazione creativa tranne che nella scrittura. Più di una volta nella sua gloriosa carriera è incappato in problemi che mai nessuno sceneggiatore dovrebbe compiere: meccanicità del plot, presentazione confusionaria di elementi ed informazioni, incapacità di calibrare al millimetro un vasto ed eterogeneo materiale che, soprattutto nei suoi film dall'impianto epico-mitologico, rischia di stordire lo spettatore. 

 

Ciò che consentiva, in altri suoi film, di soprassedere a certi problemi era la sua natura di straordinario esteta. La capacità di Miyazaki di progettare un racconto per immagini dalla bellezza abbacinante e dalla carica poetica irraggiungibile per qualsiasi altro animatore è sempre riuscita miracolosamente ad amalgamare una materia narrativa disorganica. Guardare un film di Miyazaki ci consente di ricordare perché il grande cinema sia soprattutto Immagine, non parola. Succede questo in Nausicaa, in Porco rosso, in Mononoke: capolavori immortali la cui forza visiva è talmente forte, ispirata e perfetta da colmare le lacune squisitamente narrative. Un autentico miracolo perché è qualcosa che va oltre il concetto di "disegnare bene": solo un vero genio può usare le immagini per dire molto più di quanto le parole non facciano (o, addirittura, per guardare sotto una luce più profonda e sfaccettata certe scelte di scrittura). 

 

Ma i miracoli non si verificano sempre: Il castello errante di Howl lo dimostra. La messa in scena è ancora una volta straordinaria, fastosa, ricca di dettagli, con un gusto barocco assolutamente azzeccato che fa venire anche al più improbabile disegnatore dilettante la voglia di prendere una matita in mano e dare sfoggio alla fantasia. Ma, a differenza degli altri capolavori della carriera di Miyazaki, qui la perfezione visiva difetta di quella mistica abilità di portare lo spettatore ad essere pienamente coinvolto nella storia. 

 

Ciò è dovuto ad un imperdonabile errore in sede di scrittura: il primo troncone del film è caratterizzato da una drammaturgia classica (tipica storia di formazione di una semplice ragazza intrecciata agli intrighi avventurosi del misterioso mago Howl) che accompagna lo spettatore per mano finché, ex abrupto, la narrazione non finisce nei territori dell'astrattismo. Non c'è niente di male nel voler inseguire un tipo di arte astratta in cui la consequenzialità logica degli eventi è affidata quasi esclusivamente al montaggio di sequenze immaginifiche che hanno il compito di portare avanti la storia facendo leva esclusivamente sulle emozioni anche contrastanti che esse suscitano. Ma, se astrattismo doveva essere, doveva esserlo dal primo minuto. 

 

Questa narrazione arteriosclerotica, infatti, abbatte ogni tipo di coerenza ed equilibrio, allontana lo spettatore dal mondo così minuziosamente disegnato e si configura come uno spreco. In Il castello errante di Howl ci sono sicuramente tante cose buone ma il emergono solo se si vedono i due tronconi separati: entrambi - il primo più classico, il secondo più astratto - rapiscono solo nel momento in cui sono indipendenti l'uno dall'altro. Nel momento in cui si prova a farli coabitare, si intravedono le (tante) crepe nel muro. I più volenterosi sicuramente riusciranno, rivedendo più e più volte il film, ad unire i puntini e a dare un senso ad ogni demarcazione drammaturgica. Ma saper raccontare una storia è un'altra cosa. 

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