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Japón

Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film

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alan smithee

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Japón

di alan smithee
10 stelle

locandina

Japón (2002): locandina

Le ragioni intime che spingono un uomo alto e magro, claudicante, solitario, sui cinquant’anni, capello scuro e profilo importante sovrastato da un naso aquilino predominante su un viso scarno e con barba perennemente incolta, a lasciare la caotica ed inquinata Città del Messico per spingersi in una remota regione rurale semi sconosciuta alla civiltà, ci vengono subito onestamente chiarite: “vado ad uccidermi” rivela sincero l’uomo rivolto al cacciatore che incrocia sul suo cammino. Il quale, nemmeno molto scosso alla sconcertante notizia, si premura gentilmente ad accompagnarlo verso l’impervia valle, destinata a divenire meta terminale del misterioso viaggiatore.

Consigliato da un entusiasta e poco formale giudice di quella sperduta località, l’uomo troverà rifugio in un luogo impervio in alta montagna, presso la stalla di una anziana donna di nome Ascen, che vive quasi come un eremita, circondata dalla lussureggiante ed imponente presenza di un paesaggio da vertigine, tra vallate verdi che soccombono ad abissi pietrosi da vertigine.

Ivi l’uomo, colpito e sorpreso dalla dolcezza della donna e dalla disponibilità di questa nei propri confronti, comincia, o almeno così pare, a riconsiderare i suoi funerei propositi e a riapprezzare i piaceri della vita, che in quella natura selvaggia ed incontaminata si materializzano in fragorose manifestazioni di forza e vitalità, siano essi fenomeni metereologici o accoppiamenti appassionati di animali in calore. Muta pure l’atteggiamento e il sentimento dell’uomo nei confronti della donna, che viene nel contempo spodestata del possesso della vecchia stalla da parte di un nipote, che rivendica la proprietà del modesto immobile in virtù di una eredità lontana negli anni e allo scopo di rivendere le levigate pietre angolari che stanno alla base della struttura.

Sarà una lotta impari che vedrà l’anziana donna soccombere alla prepotenza del giovane arrogante nipote. Ma sarà pure un risveglio dei sensi per entrambi i protagonisti, che troveranno anche occasione per congiungersi carnlmente, la donna assecondando quasi pietosa la richiesta garbata ma risoluta del suo ospite. E tutto questo prima di un finale angoscioso e da incubo, quasi un contrappasso per l’espiazione della colpa manifestata con l’abbandono della donna di quel suo santuario, del suo ospite e di un intero mondo a suo modo armonioso e rigoroso.

Reygadas con Japòn esordisce col botto e ottiene subito, ineccepibilmente, la Camera d’or a Cannes 2002 in occasione della sua partecipazione alla Quinzaine des Réalisateurs.

Il suo film duro, spietato come lo è la natura quando lasciata libera di manifestarsi in tutta la sua potenza, disturba, irretisce l’occhio appassionato e sensibile, grazie anche ai miracoli di una camera a spalla che si muove in continuazione per renderci partecipi, anzi complici di un percorso inesorabile di addio ad un mondo bello e abbagliante, puro ma micidiale che rende deboli e insignificanti tutti gli esseri che lo compongono se presi singolarmente, grazie ad eventi che ci tengono in vita come legati ad un filo sottile ed effimero che in qualsiasi momento si puà spezzare facendoci precipitare.

La potenza registica dell’autore non può non emozionarci, quasi scandalizzarci, sicuramente colpirci dirompente come una pugnalata sferrata con impeto e rabbia: l’ultima ripresa poi, quella lunghissima dell'incidente, e una infinita e tortuosa carrellata su una disgrazia fatale legata alla bramosia senza regole della razza umana: la punizione crudele ma adeguata che mette fine ad una razzia ingiusta, quasi come una punizione divina degli stolti; ma anche della mite vittima di cotanta ingiustizia: una tragedia che in fin dei conti si rivela una vendetta nei confronti del nostro combattuto protagonista, che forse era riuscito a persuadersi dai suoi funesti propositi di morte.

Riprese straordinarie che lasciano senza fiato, acrobazie e voli alati che ricordano la perizia di Antonioni nel sapersi librare nello spazio percependo ogni sfumatura ed unendo cielo e terra un un vortice che dà i brividi ed emoziona fino a stordire.

Un capolavoro che ci lascia almeno un grande dubbio: in tutto questo contesto magnetico, il "Giappone" ripreso dal titolo cosa ha a spartire? è forse l’atmosfera mortifera da kamikaze, da harakiri, che percorre il film ad aver ispirato l’autore? Si accettano suggerimenti e osservazioni a tal proposito.

  

 

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