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Fascicolo nero

Regia di André Cayatte vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Fascicolo nero

di dedo
8 stelle

André Cayatte. Chi era costui ?. Non molti ricordano questo regista francese,  in perenne contrapposizione con la critica cinematografica che lo definiva troppo freddo e razionale, poco incline ad “arrotondare” i suoi argomenti trasposti nel cinema. Di professione avvocato, dopo aver esercitato la professione per alcuni anni, si avvicina al cinema e nel decennio  ’50 –’60 mette a segno dei grandi successi. Con “Giustizia è fatta” nel 1950 conquista il Leone d’oro, un po’ a sorpresa, prevalendo su “La Ronde” di Max Ophuls. E’ l’inizio di una serie di film “impegnati” sul fronte giudiziario,  (che  evidentemente conosceva bene) , che mettono in luce contraddizioni, inadempienze, comportamenti scorretti  della magistratura. Seguono, sullo stesso argomento “Siamo tutti assassini” del 1952, “Prima del diluvio” del 1954 e per ultimo “Fascicolo nero” del 1955. Nel 1960 conquista il suo secondo Leone d’oro con “Il passaggio del Reno”, che, a parere della critica, scippò il premio a “Rocco e i suoi fratelli” di Luichino Visconti. Una cosa era certa: la mia generazione attendeva con ansia ogni sua opera e l’andava a vedere con religioso rispetto. A parte il film in oggetto,  le sue opere sono praticamente scomparse, probabilmente per il maligno giudizio dei professionisti di critica cinematografica che gli rimproveravano  un eccessivo schematismo e sensazionalismo nel sostenere i suoi principi sociali  contro il forte potere della magistratura, anche se non potevano fare a meno di attribuirgli una forte coerenza d’ispirazione ed un’ottima capacità, sia pure artigiana, di mestiere. Teniamo presente che l’attività di Cayatte si trovò ad essere confrontata continuamente con i lavori di Autant-Lara, Bresson, Clair, Renoir, Tati, tanto per citarne alcuni fra i migliori registi del periodo. I suoi lavori potrebbero essere riproposti come anticipazioni di una situazione tuttora persistente.

Sulla trama

Con “Fascicolo nero” affronta il tema della giustizia ambientandolo nella cittadina (immaginaria) di Lancourt, ove fervono lavori di ricostruzione postbellica, completamente sotto il controllo di
 Charles Brussard   (Paul Frankeur). Ne viene fuori un quadro provinciale fosco in cui il regista tiene subito a sottolineare le condizioni disastrose in cui versa il Palazzo di Giustizia  (portiere in sanatorio, moglie lavandaia ed il palazzo in mano ad un ragazzino (Marcel), che deve badare anche ai suoi due fratellini più piccoli). Dal tetto trasuda acqua, raccolta in un secchio. E’ in queste condizioni che prende servizio un giovanissimo giudice istruttore, Jacques Arnaud (Jean- Marc Bory) venuto a sostituire il predecessore appena defunto. Subito si rende conto che è solo nel suo lavoro in quanto il procuratore, affetto da cancro in fase terminale ha solo il desiderio di cercare di sopravvivere altri sei mesi per ricevere una migliore pensione e “vuole sperare che i sei mesi passino senza storie”. Inoltre il giovane Arnaud può fare uso solamente di un telefono pubblico, a portata di orecchio di tutti. Il primo caso da risolvere è un semplice avvelenamento di cani poliziotto, frutto di una vendetta da parte del dipendente dell’allevatore Dutouit (Antoine Balpetre) e sarebbe stato chiuso senza problemi se, interrogando quest’ultimo  non venisse  a conoscenza che c’è stato anche uno scasso ed un tentativo di furto, probabilmente collegato ad un fascicolo, foderato di pelle nera, e contenente certamente documenti compromettenti che  mettevano in relazione  André Le Guen (defunto, amico e compagno in campo di concentramento  di Dutouit) e l’onnipotente Brussard. Arnaud decide così di non chiudere il caso, ma di avviare un’indagine supplementare per aver conferme, che ben presto riceve. Il giudice istruttore è giovane, coraggioso, non è intimorito dalla becera ed arrogante figura di Brussard, davanti al quale tutta la cittadina è prostrata, forte com’è dell’aiuto del Sindaco, del vice Prefetto, del capo della polizia. Inizia così una caccia, senza sconti, alla ricerca del fascicolo. Messo alle strette il fratello notaio di André, Alain Le Guen (Cristian Fourcade) chiede che venga riesumata la salma del fratello e si chiarisca che non è stato assassinato. . Ma il risultato conferma un’avvelenamento da solfato di atropina. Siamo in presenza quindi di un omicidio. La cittadinanza si schiera con Arnaud. Ne nascono disordini. Viene inviato da Parigi il superpoliziotto Gaston Noblet (Bernard Blier) che ostenta una grande sicurezza. A questo punto sono tre i filoni di indagine e quando si entra nel tritacarne della Giustizia è difficile poter dimostrare la propria innocenza. I metodi coercitivi e ricattatori usati dai poliziotti portano alla consegna al Giudice istruttore ben due confessioni firmate da persone diverse, che vedono la  loro privacy violata. Ma Arnaud si convince che la positività dell’avvelenamento degli organi di André è dipesa solamente da una cattiva conservazione dei suoi organi e pone termine al caso, senza luogo a procedere, rovinandosi così la carriera.  
Il film, dalla trama complessa, è ben costruito ed il cast è ben diretto. Girato quasi tutto in interni, presenta un ritmo, un impegno ed una suspence costantemente ad alto livello, ma talvolta si perde nei dettagli per dimostrare allo spettatore come la Giustizia possa incorrere in grossolani errori quando ricorre a metodi coercitivi. E un’opera che ricerca soprattutto l’effetto spettacolare, capace però di arrivare allo spettatore con quello impatto violento cercato  dal regista.  Cayatte assieme a Charles Spaak è l’autore della scenografia che ricostruisce bene l’ambiente cupo di una cittadina di provincia francese nell’immediato dopoguerra. Il film, pur con i suoi difetti, è consigliabile. Voto 7,5
 

Sulla colonna sonora

Bella e sonora nell'introduzione in cui sfrutta bene l'organo, in seguito perde consistenza

Cosa cambierei

L'avrei reso più lineare

Su André Cayatte

Un grande artigiano, coerente nei suoi principi ed ottimo direttore del cast

Su Bernard Blier

Il superpoliziotto parigino svolge il suo compito con frande efficenza

Su Antoine Balpêtré

E' l'allevatore di cani che incarna una figura piuttosto equivoca

Su Danièle Delorme

Si presta con efficienza al compito di figlia del procuratore facendosi però prendere un po' la mano

Su Lea Padovani

E' la vedova del sospettato assassinato. Mantiene il controllo recitativo in modo eccellente

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