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L'eredità

Regia di Per Fly vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su L'eredità

di giancarlo visitilli
8 stelle

“Può avvisare mia moglie che non torno? Ho deciso di trattenermi”. Quante volte abbiamo sentito quest’espressione in occasione di rotture, divergenze di carattere, incomprensioni, ecc? Non così per Christoffer, il protagonista del bellissimo film, L’eredità, scritto e diretto dal regista di The Bench, che prosegue il proprio discorso sulle divisioni sociali e dedica il secondo capitolo della trilogia, alle responsabilità di chi si appresta ad ‘ereditare’ il potere. A prescindere dalle sue forme.
Christoffer è un giovane borghese danese, che vive a Stoccolma. Nella capitale svedese gestisce un ristorante di successo, trascorrendo la sua vita felice e spensierata, in un bellissimo appartamento nella zona centrale, fra gli amici, una giovane moglie bella e molto intelligente che fa l’attrice di teatro. Tutto sembra andare bene fino a che arriverà una telefonata che cambierà la sua esistenza e quella della sua compagna: il suicidio del padre per impiccagione. Questi era un industriale, padrone di un’acciaieria di famiglia, ereditata quindi da Christoffer, il quale sarà costretto a tornare in Danimarca e a prendere le redini della gestione della fabbrica. Questa svolta sarà l’inizio della fine, perché, in realtà, erediterà ogni forma di perdita che possa capitare nella vita di un uomo.
Un dramma denso di quel rigore e di quella crudeltà dei migliori ascendenti nordici, a cominciare da Bergman, passando, però, attraverso l’ultimo Ken Loach, molto interessante soprattutto per tutto ciò che risulta “non detto” e che fa precipitare lo spettatore insieme allo stesso giovane protagonista.
E’ fuor di dubbio l’adozione da parte di Fly per il Dogma (la produzione è la Zentropa di Lars Von Trier): la camera sempre spiaccicata addosso ai protagonisti, le inquadrature tremolanti, una fotografia sgranata, oltre che l’aghiacciante realismo; anche se, l’impianto formale appare fortemente ed evidentemente costruito.
L’eredità è soprattutto il racconto dell’attuale capitalismo e del suo delirio. Come un grande mostro, appare incurante dei grossi licenziamenti di “risorse umane”; disposto ad automatizzare sinanche i cervelli del “lavoro vivo”; ereditario, nel senso proprio del termine: affidato a figli incapaci e incuranti di quanto i loro padri, fino a lì, erano riusciti a costruire. Tutto ciò è ambientato in un mondo malato, nel quale vige la perversione mentale, la cattiveria, l’egocentrismo esasperato ed esasperante, compresa l’aridità intellettuale.
Le giornate dei protagonisti si svolgono fra battute di caccia, pranzi domenicali ed altre vergognose malvagità, nella stessa indifferenza reale dei potenti del mondo, che anche in occasione di aggressione ai propri connazionali o, comunque, ai civili, se ne stanno tranquilli nei loro ranch o nelle loro poderose e maestose ville. Per Fly è geniale in ciò: mette a repentaglio il potere, ogni forma di potere, la ricchezza e la fatua sacralità della famiglia, ma soprattutto pone ogni individuo nella dimensione dell’indifferenza nei confronti dei sentimenti.
Gli attori, tutti bravissimi, riescono con grande abilità a far emergere i ‘caratteri sotterranei’ dei loro personaggi. A riguardo, l’eccezionale Ulrich Thomsen (Christopher) riassume una versatilità che raccoglie il meglio del meglio: ora sembra Sting, poi Tarantino, addirittura Callisto Tanzi (solo per la situazione nella quale avremmo voluto tutti immaginarcelo), ma sempre nella condizione del rampollo, succube del potere materno, tanto antico e di shakspeariana memoria (Amleto).
Anche le musiche del film sono molto belle, rendono in modo esemplare l’algida freddezza delle emozioni, confuse alle straordinarie armonie dei sintetizzatori, quasi sempre a braccetto con l’orchestrazione degli archi.
Alla fine si è coscienti di aver ereditato la perdita. Cioè di aver vissuto. Perché ogni attimo di vita, non è altro che l’eredità lasciataci da una morte che s’appresta a venire. Specie se in campo gioca il potere economico con la sua stessa precarietà, destinato a confrontarsi con i grandi e disastrosi crack. Anche questi, lasciati sempre in eredità da parte di qualcuno, a qualcun altro.
Giancarlo Visitilli

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