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Il cielo sopra Berlino

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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Maurizio_Bauduino

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La recensione su Il cielo sopra Berlino

di Maurizio_Bauduino
10 stelle

Una pellicola potente in grado di tradurre visivamente, plasticamente la tensione tra tempo ed eternità; tensione che diventa frizione tra uno sguardo incarnato ed uno, invece, assoluto, metafisico. L’utilizzo del bianco e nero e del colore è subordinato all’esigenza di comunicare queste due tipologie di sguardi: attraverso il bianco e nero le differenze tra gli enti all’interno dell’immagine subiscono una cospicua diminuzione numerica; a differenza delle immagini cromatiche, nelle quali gli elementi compositivi risultano nettamente distinti, anche in consonanza con l’abituale funzione discernitrice operata dal nostro apparato percettivo. Lo sguardo assoluto di Bruno Ganz e Otto Sander, i due angeli protagonisti, è infatti uno sguardo estemporaneo, che isomorfizza gli enti, cancellandone le differenze. Non tutti i limiti sono però abbattuti: se è vero che lo sguardo sub specie aeternitatis delle creature angeliche permette di percorrere ed oltrepassare senza soluzione di continuità i limiti che abitualmente esperiamo, primo fra tutti quelli situato al confine tra rappresentazione e realtà, come ben mostrato in una magistrale sequenza(che deve molto, oltre a registi dichiarati come Tarkovskij, a Mizoguchi e a Ford) nella quale un’auto oltrepassa confini spaziali, temporali e rappresentativi(si passa infatti dal tempo del racconto alla finzione cinematografica diegetica, per poi penetrare omogeneamente in immagini documentarie attinenti allo stesso periodo storico a cui faceva riferimento la finzione di cui prima); resta però come non tolta la percezione di una distinzione tra i pensieri del grande numero di comparse del film. Certamente i confini tra i pensieri vengono drasticamente assottigliati, tant’è che si può quasi parlare del mondo come di una totalità pensante, intesa come un’unificazione di tutti i pensieri individuali- una sinfonia di pensiero, potremmo dire-; tuttavia nel percorrimento di questa totalità si percepiscono le discontinuità individuali sottoforma di stili di pensiero che nascono dai diversi contesti in cui le persone si vengono a trovare. Attraverso l’occhio di una macchina da presa fluttuante nell’aria, spaesante,vertiginosa e assoluta, lo spettatore viene ad assumere la stessa prospettiva degli angeli, creature che guardano il mondo come a una totalità(esemplificativa è la scena del personaggio che funge da memoria storica del film, il quale si diverte osservando una scrivania piena di mappamondi, nella sezione astronomica di una biblioteca) e le cui uniche differenze percepite sono quelle attinenti alle emozioni(a cui corrisponde un diverso stile di pensiero)delle persone. Lo sguardo metafisico degli angeli è dunque onnisciente e parificatore ma nonostante ciò sensibile agli scarti emotivi degli uomini(a questo proposito si pensi a tutte le scene in cui gli angeli sia avvicinano alle persone, spesso in difficoltà, cercando, attraverso un sorriso di compatimento o una mano appoggiata sulla spalla, di infondere una guarigione in grado di convertire quel pensiero in qualcosa di migliore, mutandone quindi lo stile).A ribadire la fluttuazione assoluta dello sguardo concorrono inoltre alcune immagini che rappresentano la leggerezza, la sospensione a mezz’aria, come il battito d’ali iniziale o le scene durante l’esibizione della trapezista. Ma perché, dunque, esiste tensione tra la dimensione temporale e quella metafisica? Perché nel caso dello sguardo temporalizzato, una volta che si siano tastati i limiti dell’esperienza e le sue brutture( la morte ed il dolore) si percepisce la necessità di un altrove rassicurante in cui tali limiti non esistano; dall’altra parte lo sguardo assoluto sperimenta anch’esso l’insufficienza della sua condizione, ossia la mancanza del tempo, del piacere ricavabile dall’istante, dai sensi, dalla gravità. Ciascuna delle due dimensioni è dunque costitutivamente insufficiente, ricerca eroticamente la propria parte mancante per tentare una conciliazione e una fusione impossibili. L’Angelo invidia la condizione umana e l’uomo quella angelica. Il film però dirime la tensione nella seconda parte del film: l’angelo interpretato da Ganz riesce effettivamente a ritornare in vita e ad unirsi con la tanto agognata trapezista; il loro amore è però completamente simbolico, trasfigurato: chi si unisce sono il primo uomo e la prima donna, essi rappresentano la prima unione che ha dato vita all’umanità, l’origine del tempo e della storia, e ne ribadiscono l’importanza e la forza(dico ‘’ribadiscono’’perché la scena è ambientata negli anni ottanta, per cui l’origine di cui parlo non è un primo cronologico). In fin dei conti il film è un inno alla vita, al tempo e a tutto ciò che essi comportano.

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