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A Snake of June

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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La recensione su A Snake of June

di FilmTv Rivista
8 stelle

Forse Tsukamoto Shinya è uno dei pochissimi cineasti contemporanei a lavorare seguendo un discorso umano-corporale che si delinea sempre più come violenta indagine teorica sul rapporto annullante tra la persona e la metropoli e un cinema cannibale-sperimentale. Difatti, A Snake of June è il fratello gemello di Bullet Ballet, per come dipinge il tormento viscerale dei personaggi dentro una città e un mondo di ferro e di pioggia, nerissimo, in bianco e nero. È un film sulla malattia dell’uomo e sul corrispondente cancro della modernità, ma soprattutto è un chirurgico e sincero invito a prendere possesso della propria carne, inteso come consapevolezza, coscienza di un corpo e di una vita, anche segnati da cicatrici, mancanze e distruzioni, anzi, maggiormente per questo motivo. Ecco perché A Snake of June è un film d’amore: non tanto per i sentimenti tragici e quasi catastrofici che corrono tra i tre personaggi, quanto per l’altruismo del regista verso un’espressione d’esistenza capace di trovare nel pessimismo cosmico uno spiraglio di sopravvivenza, magari attraverso l’ossessione sessuale e dello sguardo. Se Bullet Ballet si chiudeva con una corsa liberatoria, anche se del tutto senza speranza, A Snake of June riesce ad aprirsi su una possibilità, in mezzo a detriti (anche fisiologici) e al decadimento, ma pur sempre una possibilità. La donna malata che viene “liberata” da un misterioso uomo, anch’egli malato e riportato alla vita, e il marito coinvolto nel recupero della donna e di se stesso, sono elementi naturali e quasi primigeni di un universo che ha a che fare con l’idea di solitudine, spessissimo chiusa a vie di fuga. Ma Tsukamoto, con A Snake of June, ci dà il suo lavoro più ottimistico, anche se non sembra: non conciliante, si badi, ma generoso. Ed è, come al solito, stimolante, energico, conturbante, persino eccitante. Come, appunto, dovrebbe essere la vita.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 50 del 2003

Autore: Pier Maria Bocchi

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