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Piccoli affari sporchi

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su Piccoli affari sporchi

di michemar
7 stelle

Si tratta essenzialmente di un dramma ma siccome la sceneggiatura è spesso spumeggiante e ironica e alla fine vediamo intervenire loschi personaggi della mala londinese, possiamo parlare anche di commedia e di noir: è come se fosse un “summa” dei generi prediletti da Stephen Frears. Molto carino.

La filmografia del simpatico e pacioso Stephen Frears ha certamente la peculiarità di essere variegata, passando da opere letterarie a commedie più o meno leggere, dal drammatico al soft-horror. Insomma non è monotematico e monotono e non sai mai cosa ti propone la volta seguente: da My beautiful laundrette a Philomena, passando da Mery reilly, Alta fedeltà e Le relazioni pericolose c’è tutto il Cinema.

 

 

Cosa ti combina stavolta Stephen Frears? Mescola i generi e affronta il variopinto mondo della immigrazione, clandestina e non, di una grande città metropolitana come Londra. E’ così popolosa la capitale inglese che nascondersi e lavorare non è un’impresa difficile: basta trovare i posti adatti e le persone giuste per accogliere questi fantasmi invisibili. L’importante è che siano disposti ad una paga minima e a vivere nascosti. In questo ambiente di sopravvissuti arriva Okwe, un nigeriano, medico in patria e tuttofare in Inghilterra. Il poverino, che nel suo stato d’origine è un latitante accusato ingiustamente di uxoricidio, riesce a cavarsela facendo di giorno il tassista e il portiere di notte in un hotel apparentemente elegante ma malfamato per le reali attività che vi si svolgono. Il buon Okwe si ritrova presto nei guai quando scopre uno spaventoso traffico di organi umani che avviene appunto nell’albergo, che ha proprio nel conciergie il principale punto di riferimento. Quando la situazione si fa difficile e la strada si restringe, il clandestino, con l’aiuto di Senay, un’altra immigrata con permesso temporaneo che lo ospita in casa, organizza un azzardato strattagemma per cercare di ottenere dei passaporti falsi per mettere al riparo la ragazza e denaro sufficiente per tornare in patria.

 

 

Come si evince, si tratta essenzialmente di un dramma ma siccome la sceneggiatura è spesso spumeggiante e ironica e alla fine vediamo intervenire loschi personaggi della mala londinese, possiamo parlare anche di commedia e di noir: è come se fosse un “summa” dei suoi generi prediletti. L’alternanza tra i momenti drammatici e quelli più briosi spiazza lo spettatore e rende più piacevole il film, senza mai che la tensione emotiva e drammatica cali. Gran merito va anche appunto alla sceneggiatura di Steven Knight, di cui poi godremo appieno la sua abilità nel recente (e bellissimo) Locke.

 

Chiwetel Ejiofor, nei panni di Okwe, già al suo terzo film ha l’occasione giusta per mettersi in mostra, perché poi, anche se ha girato diverse pellicole ma sempre da comprimario (vedi I figli degli uomini, Inside man) deve aspettare il buon Redbelt di David Mamet e soprattutto 12 anni schiavo che lo porterà definitivamente alla ribalta mondiale. Brava e adorabile, leggera come il suo corpo minuto, la solita Audrey Tautou ma il film è tutto cucito addosso al faccione nero del bravissimo Chiwetel Ejiofor.

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