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Rififi

Regia di Jules Dassin vedi scheda film

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La recensione su Rififi

di joseba
8 stelle

Uscito dal carcere dopo cinque anni di detenzione, Toni "le Stéphanois" (Jean Servais) punisce a cinghiate la sua ex compagna Mado (Marie Sabouret) e si impegna in un nuovo colpo: rapinare la famosa gioielleria "Webb" di Rue de la Paix (a due passi da Place Vendôme) insieme all'amico fraterno Jo (Carl Möhner), all'italo-francese Mario (Robert Manuel) e a Cesare "il milanese" (Jules Dassin), massimo esperto di casseforti in circolazione.



Se "Grisbi" è mitografia del milieu, "Rififi" ne è la fenomenologia. Il romanticismo evocativo tratteggiato l'anno prima da Jacques Becker viene spazzato via dall'amara secchezza di Jules Dassin, cineasta americano costretto ad emigrare in Francia dalla crociata anticomunista del senatore Joseph McCarthy. Ancora una volta ci troviamo di fronte all'adattamento di un romanzo Série noire, quel "Du rififi chez les hommes" di Auguste Le Breton che contende a "Touchez pas au grisbi" di Albert Simonin il primato delle vendite. E ancora una volta ci troviamo di fronte all'epopea di un truand attempato ma ancora pronto a combattere per difendere amici e reputazione. Una vecchia gloria in cerca di un riscatto personale, soprattutto nei confronti di se stesso.



Ma se il ritratto beckeriano della truanderie si nutre di figure leggendarie e traccia una topografia completamente avulsa dal tessuto urbano (come se i luoghi del milieu non appartenessero alla stessa fascia di realtà della Parigi diurna), Dassin, forte dell'esperienza quasi neorealista de La citta nuda ("The Naked City" , 1948), conficca le vicende antieroiche di Tony e compagni nel corpo della Ville Lumière, sfruttando al massimo l'interazione tra personaggi e spazi. La metropoli romba, sferraglia e rumoreggia, dettando tempi e azioni, nascondendo pericoli e offrendo osservatori privilegiati: è soltanto padroneggiando mentalmente lo spazio urbano (emblematica la sequenza della "passeggiata mnemonica" di Jo) che il colpo potrà andare a buon fine, nonostante un rischioso imprevisto.



Pur rinunciando ad alcune durezze del magnifico libro di Le Breton (pieno zeppo di particolari scabrosi e raccapriccianti, come l'odore di merda che si respira durante le sparatorie), Dassin, coadiuvato in sede di sceneggiatura da René Wheeler e dallo stesso Le Breton, ne rispetta fedelmente il crescendo drammatico, annerendo progressivamente i toni della narrazione e piazzando nel centro del film una delle due più belle sequenze di rapina della storia del genere (l'altra, assai simile, porta la firma di monsieur Melville e non a caso si sviluppa all'interno di una gioielleria di Place Vendôme). In un silenzio pressoché totale e con un montaggio ridotto all'essenziale (le rare ellissi sono rigorosamente cronometrabili), Dassin dà prova di un virtuosismo registico (che impalpabilità i suoi long take!) e di un'inventiva scenica (su tutte la trovata dell'ombrello come raccoglitore di detriti) semplicemente sublimi.



Pregnanza del contesto metropolitano e sontuosità formale non sono tuttavia gli unici pregi del film: man mano che la vicenda assume contorni sempre più tragici, "Rififi" accantona leziosità e preziosisimi per farsi iconografia di un incubo. Le atmosfere tra il debosciato e lo scanzonato della prima parte si incupiscono inesorabilmente in toni lividi, funerei, addirittura allucinati in occasione della corsa in macchina finale. Sequenza che, insieme all'esecuzione di Cesare il milanese (soavemente interpretato dallo stesso Dassin sotto lo pseudonimo di Perlo Vita), imprime al film una secca torsione espressionista che impedisce di rinchiudere questo strepitoso noir nella gabbia critica del semidocumentarismo. Personalmente (eresia!) lo preferisco al pur fascinosissimo "Grisbi".

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