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Antropophagus

Regia di Joe D'Amato (Aristide Massaccesi) vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Antropophagus

di zombi
8 stelle

anche senza aver conosciuto aristide, vien da pensare vedendo i suoi film che tutto questo spingere oltre nella sua filmografia, fosse dovuto al fatto di non aver altrimenti visibilità. di non avere la possibilità di arrivare ai piani alti anche solo della sala cinematografica; e allora cosa si fa?... si fanno film con titoli come PORNO HOLOCAUST che un cinefilo che s'intenda tale, deve almeno venirgli la curiosità di chiedersi di che mminchia possa trattare un film che s'intitola appunto PORNO HOLOCAUST!!!! dopo la necrofilia platonica di "buio omega", l'alter ego di aristide, joe d'amato, escogita una nuova avventura cinematografica per cercare di far scattare la scintilla tra la musa artistica delle immagini in movimento e se stesso. il parto è "antropophagus" e direi che se amore fu, fu quello della madre che vuol bene anche allo scarrafone, non notandone le differenze mostruose dal fratello di belle sembianze. ambientato per intero in italia tra sperlonga, ponza e i dintorni di roma(il davinotti informa), anche qui aristide riesce a porci in uno strano stato di inquietudine, nonostante per i primi 40/45 minuti non succeda nulla, massacro iniziale a parte. i protagonisti in vacanza sono spensierati e accompagnano una ragazza appena conosciuto su un'isolotto greco per raggiungere una famiglia presso cui dovrà fare compagnia alla figlia in cambio del soggiorno gratis. le musiche di marcello giombini sintetizzate a palla, ci accompagnano piano piano in un incubo vero e proprio insieme agli ignari turisti. il respiro affannoso della presenza che spia in continuazione e i dettagli che di mano in mano aumentano sempre più fino a farci scoprire cosa li aspetta e da cosa deriva. nella ricerca spasmodica dell'accumulo esagerato, aristide però instilla nella pellicola e nello spettatore che lo guarda quel giusto disagio che deflagrerà nella lucida incredulità ad un passo dalla pura follia. nel caso studiato da aristide, mostri non si nasce ma si diventa e non parliamo solo del tall man che si aggira stoico per l'isola alla ricerca di prede. parliamo di henriette, che per sfuggire al mostro si nasconde in una botte di vino o che altro rimanendovi fino all'arrivo dei turisti, uscendone come una testa di clown a molla da quelle scatole, coltellaccio alla mano colpendo alla rinfusa, oppure anche come tisa farrow che assiste scioccata al finale giustamente famoso e famigerato. le musiche di giombini diventano da folklo(tu)ristiche ad angoscianti grazie al sinth che commenta con dei "ua ua ua" le sempre più frequenti e prolungate comparse del mostro. e intanto che scopriamo il trauma che ha trasformato un uomo sano a macchina devastatrice, le vittime aumentano e con esse ben assestati i colpi allo stomaco che hanno reso famoso-famigerato il film. del resto la sua non pare fame, sembra di più l'antenato della fame, un ricordo che lo perseguita portandolo a sterminare la popolazione di un'isola intera. a mio avviso occorre guardare a questo (e a buio omega)film come a una dichiarazione di autorialità da parte sia di aristide che di montefiori, perchè se è vero che questi film hanno un loro pubblico è anche vero che l'auto-pasto finale non è solo uno shock esploitativo. montefiori, il tall man, il mostro che ha divorato la propria carne divorato dalla pazzia, finalmente divora se stesso per scontare "la colpa" dell'empio pasto in una dantesca riproducibilità della pena infernale.

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