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Past Lives

Regia di Celine Song vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Past Lives

di laulilla
9 stelle

Distribuito nelle sale italiane – con l’eccezione di qualche rassegna festivaliera – in coincidenza con San Valentino, il film è stato presentato al Sundance Film Festival del 2023 e ora, con una pioggia di nomination, si candida a Oscar, Golden Globe, Bafta, oltre che ad altri premi considerati minori. Non male, per un’opera prima!

 

 

Quest’opera è firmata da Céline Song, giovane regista americana di origini coreane.

Il film, di cui è anche sceneggiatrice, evoca la propria vicenda biografica, lasciando emergere – in una sorta di flusso di coscienza – frammenti di un passato lontano: quello dei giorni della scuola primaria, delle piccole delusioni; quello dell’addio a Seul, allorché, dodicenne di nome Na Young, era partita alla volta del Canada, dove madre e padre (intellettuali affermati entrambi) si erano trasferiti.

 

Dall’ambiente familiare, la piccola Na Young aveva convintamente assorbito alcuni fondamentali concetti:
– la cultura letteraria costituisce un ottimo strumento per affinare il proprio sentire e può diventare un’occasione per affermare la propria visione del mondo.
– Seul è una grande e bella città, ma nessun coreano di Seul aveva mai vinto il Nobel per la letteratura.

 

Due scene del film metaforicamente ce ne parlano: il suo pianto infantile, incredulo, quando il piccolo Hae Sung, suo compagno di scuola, aveva preso un voto più alto del suo; il loro addio, alla vigilia della partenza, nel punto in cui le strade della rispettive abitazioni si dividevano: a sinistra, verso la città vecchia e più povera si era diretto Hae Sung; a destra, in salita, era andata Na Young, verso i quartieri esclusivi delle abitazioni della borghesia culturalmente evoluta.


La storia del film sembrerebbe quella di una separazione dolorosa: i due, quasi adolescenti, si comprendevano e stavano insieme volentieri, non solo come amici che si vogliono bene, ma, come accade spesso sui banchi di scuola, come fidanzatini innamorati, destinati in ogni caso a dividersi nel corso degli anni…

 

Diventa presto evidente, invece, l’asimmetria del loro sentire: lei se n’era andata lasciandosi alle spalle pochi rimpianti, confidando nel proprio radioso futuro e, nel gelido e nevoso Canada, aveva cambiato nome.
Come scrittrice, col nome di Nora (Greta Lee) si era fatta conoscere, affermandosi; ora – diciannovenne – non pensava più al Nobel, ma mirava a un Pulitzer che riconoscesse la qualità della sua scrittura…
In quel paese gelido e nevoso, infatti, aveva incontrato e amato Arthur (John Magar), scrittore americano che l’aveva sposata: con lui era andata a vivere a New York.


Hae Sung (Teo Yoo),  continuava a vivere e a studiare a Seul, approfondendo – senza grandi ambizioni – le discipline tecnico scientifiche, allo scopo di sistemarsi presto, ottenendo un buon lavoro.
A una decina d’anni dall’antica separazione, stava nascendo Internet; lui l’aveva ricordata e anche inutilmente cercata – ahimè quel cambio di nome! –
Lei, invece, l’aveva trovato quasi per gioco, dopo aver imparato a usare il personal computer: lui non ci sperava più.

 

Si erano infittite le chat su Skype, si era anche fatta strada l’idea di rivedersi, non subito: i diversi loro impegni lo escludevano, almeno per un anno.
Lei, pertanto, aveva interrotto ogni videochiamata, rimandando l’incontro al futuro…

 

Era stato infine Hae Sung a raggiungere Nora, che - come lui - si avvicinava ai quarant’anni. Arthur voleva conoscerlo, incuriosito dalle oscurità che solo nel delirio onirico Nora rivelava: le parole coreane dei suoi sogni appartenevano a un lessico diverso da quello che, pure, allo stato di veglia, la donna gli aveva insegnato.

Il film si muove, pertanto, tra mondi diversi, cui non è dato incrociarsi, se non in sogno.

 

Allo stesso modo non sappiamo come sarebbe stata la nostra vita se non avessimo scelto, forse casualmente, forse volontariamente, una strada da percorrere, scartando tutte le altre rimaste nel mondo infinito delle possibilità.

Le vite che non abbiamo vissuto non ci appartengono; sono vite che non abbiamo neppure sfiorato, impedendoci di conoscere lo in yun, ovvero la stratificazione infinita di esperienze necessarie per stare insieme, che  –  come avrebbe infine riconosciuto con molto dolore Hae Sung – Nora e Arthur  possiedono.

I due adolescenti ingenui e innamorati di vent’anni prima, ora non sono più gli stessi…

 

Non tanto un film sull’amore deluso, ma un film, molto ben scritto, sulla difficoltà di conoscerci e di definirci; un film che, ricordando quanto sia difficile costruire la verità della nostra coscienza, ci ricorda alcuni grandi registi occidentali: da Bergman ad Antonioni, a Godard, la cui lezione certamente è stata decisiva per la giovane regista di questa bellissima opera prima.

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