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Dune: Parte due

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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George Smiley

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La recensione su Dune: Parte due

di George Smiley
4 stelle

Una pietra miliare della decadenza artistica, culturale e ideologica del cinema americano.

Finalmente ci siamo. Dopo anni di film che mi hanno lasciato solo punti di domanda sul suo effettivo valore, finalmente sono riuscito a inquadrare Denis Villeneuve per ciò che è: il più grande venditore di fumo del cinema hollywoodiano contemporaneo. Se già Arrival era stato un indizio bello forte, mentre Blade Runner 2049 e Dune - Parte 1 nella loro medietà ancora contribuivano a intorbidire le acque (pur dandomi modo di farmi due risate di fronte a quei poveretti che paragonarono il sequel di Villeneuve al capolavoro di Ridley Scott, con la medesima credibilità e autorevolezza di un chihuahua che ringhia e abbaia a un terranova), questo Dune - Parte 2 è la prova che fortunatamente del cinema di Villeneuve posso farne a meno, evitando di scomodarmi per visionare futuri progetti del Kubrick dei poveri. Troppi elementi di questo film mi hanno irritato immensamente, a partire dalle copiose, non necessarie ma soprattutto peggiorative modifiche al materiale di partenza. Non si pretende la ricopiatura dialogo per dialogo del libro, ma neanche lo stravolgimento delle caratterizzazioni dei personaggi fondamentali, i cambiamenti di sesso gratuiti oltre ai cambiamenti di status e importanza nell'economia del racconto, l'inserimento di considerazioni da progressisti e femministe occidentali del ventunesimo secolo in bocca a un popolo di ignoranti beduini di un pianeta alieno nell'anno 10.191, l'eliminazione di altri personaggi importanti oltre alla cancellazione di molti eventi salienti della storia e il cambiamento del finale apparentemente di poco conto ma in realtà determinante. David Lynch aveva avuto l'alibi di essere stato costretto a tagliare almeno un terzo del girato per l'uscita della sua versione nelle sale, Villeneuve ha avuto più del doppio di durata a disposizione, quindi qual è il suo alibi per questo scempio? Perchè alla fine, pur con tutti i suoi difetti e le modifiche che anch'essa aveva apportato al romanzo, la versione di Lynch è estremamente più fedele negli avvenimenti, nel tono, nei dialoghi e nei personaggi al libro di Frank Herbert. Ciò che è ancora più eclatante è che la versione di Lynch non è solo più aderente alla fonte originale, ma è anche un'esperienza cinematografica superiore tout court a questa fotocopia malfatta di Guerre Stellari. Non c'è un solo aspetto sotto il quale non sia migliore: l'art direction del film di Lynch era stupenda, barocca e fantasiosa, mentre lo stile minimalista, anonimo e freddo di Villeneuve è un mistero come possa piacere a così tanti boccaloni; la magniloquente, fantasmagorica e nostalgica colonna sonora dei Toto con tanto di contributo di Brian Eno polverizza senza pietà le scorregge al sintetizzatore e le nenie orientaleggianti di quel buffone sopravvalutato di Hans Zimmer, ennesima riprova di come i gusti musicali delle masse e il talento dei compositori si siano imbarbariti nel tempo; scenografie, costumi, set, modellini e fotografia si trovano su un altro pianeta, in un'altra galassia e forse anche in un altro universo; 190 milioni di dollari apparentemente non sono in grado di rappresentare i vermi delle sabbie meglio di come fece Carlo Rambaldi nel 1984. Ma è soprattutto nella scelta del cast e nel suo utilizzo che il film di Denis la minaccia è particolarmente offensivo: affidare il ruolo di Paul Atreides a un attore scialbo, insignificante e privo di carisma come Timothée Chalamet è stato un autogol clamoroso, tanto quanto aver affidato il ruolo di coprotagonista a quella insopportabile miudina arrogante di Zendaya, la quale ci viene continuamente spacciata dai media come una grandissima attrice e una gnocca stratosferica pur non essendo nè l'una nè l'altra cosa. Confrontarli con Kyle MacLachlan (magnifico attore feticcio di Lynch, il quale di lui ebbe a dire «Kyle interpreta l'uomo innocente che è interessato ai misteri della vita. È la persona di cui ti fideresti per farti condurre in un mondo strano») e Sean Young (indimenticabile Rachael di Blade Runner) equivale, come avrebbe detto mio padre, a picchiare uno seduto sulla tazza del cesso mentre caga. Javier Bardem è tristemente sprecato in un ruolo scritto male e che di fatto umilia il personaggio di Stilgar, ma in generale l'impressione è che si sia puntato sui nomi di richiamo piuttosto che su abili caratteristi e sulle facce giuste come nella produzione di De Laurentiis. Per quanto mi riguarda, questo è il film che certifica come non ci si possa più fidare di Hollywood nell'adattamento di grandi romanzi del passato senza che essi vengano storpiati per solleticare le sensibilità politicamente corrette delle masse di minus habens che rappresentano "il pubblico moderno", ma stranamente ciò non mi rattrista affatto. Il cinema non è certo l'unica fonte di piacere nella vita di una persona mediamente colta e, visti i risultati, è molto meglio affidarsi alla propria infinita immaginazione piuttosto che alla macchina produttiva americana e ai suoi esecutori.

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