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Il sol dell'avvenire

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Il sol dell'avvenire

di AndrewTelevision01
8 stelle

Nanni Moretti

Il sol dell'avvenire (2023): Nanni Moretti

Dopo l'ultima fatica "Tre Piani", ricordata non molto bene da pubblico e critica, il Moretti nazionale torna in pista con "Il sol dell'avvenire", omaggio al Fellini di ottoemezziana memoria con un tocco di contemporaneità che non guasta mai. Il regista trentino pone sul piatto le vicende di Giovanni, un regista turbolento, noioso e continuamente stizzito dal mondo che lo circonda: assieme alla moglie produttrice Paola, Giovanni sta portando avanti la realizzazione di un film riguardo la presa di posizione che il Partito Comunista Italiano ebbe durante la rivoluzione ungherese del 1956, ma ciò che viene fuori risulta spesso incompleto agli occhi suoi. Paola palesa i suoi problemi sentimentali e lavorativi con Giovanni andando da un set all'altro, lavorando in particolar modo all'opera prima di un giovane autore, mentre Giovanni si richiude in se stesso e lascia che tutto scorra davanti ai suoi occhi.

Lo sguardo dolceamaro che Moretti ha voluto accentuare in quest'opera dai tratti grotteschi e sognanti è senza ombra di dubbio uno dei più lucidi degli ultimi anni all'interno della sua filmografia. Incrociare set e vita privata dentro lo scheletro di una sceneggiatura simile non è affatto semplice e se sei Moretti, che di perle in passato ne ha fatte, sicuramente qualcosa del tuo percorso sarà rimasto; per cui perché buttare all'aria l'occasione di rivelarti per quello che sei? Per quello che provi stando sul set cinematografico? Ed è così che viene fuori "Il sol dell'avvenire" ad esaudire ogni desiderio narrativo e scritturale di un regista ancora in forma, evento che mi riporta all'opera ultima di Woody Allen ossia "Rifkin's Festival", che a sua volta riprende i passi di felliniana memoria. Ciò che salta all'occhio è un preoccupante confronto generazionale: Moretti parla ad una generazione di registi che non analizza più la forma del cinema, ciò che vuole comunicare o semplicemente quello che vuol mettere in scena, ma che annusa esclusivamente la sua estetica fredda: si prosegue dunque con la commercializzazione della suddetta, il che va a pari passo col pensiero di certe multinazionali capitaliste (Netflix) le quali propongono, tramite un marcato utilizzo di inglesismi e parole forti fuori ma squarciate dentro, un netto divisionismo tra l'opera d'arte filmica e il suo autore, che viene tagliato dal suo ruolo per diventare una macchietta appiccicata al suo stesso sputo. Chi si lamenta delle autocitazioni, dei brani "onnipresenti" o del linguaggio del regista nei confronti del suo stesso film non ha capito e continua a non capire l'ironia di un autore che ha significato molto per la rinascita del dramma all'italiana e che - una volta per tutte - ha messo da parte indecisioni, dubbi e quant'altro per dare man forte alla penna che lo contraddistingue. Basti considerare la scena "spiegata" della sparatoria, della visione in sala de "La Dolce Vita" con i due giovani innamorati e della loro imminente rottura con in sottofondo De André, del ballo eclettico e pieno di spirito con un soave Battiato (ci manca come l'acqua) o anche lo stesso finale per renderci conto dell'opera matura che ci troviamo di fronte.

Non facciamoci scappare quest'ultimo Moretti che, dopo anni di esperienze patite, parrebbe finalmente aver capito quale strada vuole intraprendere.   

 

Voto: 8 

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