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The Family Man

Regia di Brett Ratner vedi scheda film

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Eric Draven

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La recensione su The Family Man

di Eric Draven
3 stelle

Oggi vogliamo parlarvi di The Family Man, firmato da Brett Ratner, regista di buon mestiere un po’ smarritosi per strada dopo aver diretto garbate, fracassone pellicole non troppo pretenziose come Rush Hour, inclusi i sequel, e Tower Heist - Colpo ad alto livello.

Che ebbe la fortuna di essere assoldato da Dino De Laurentiis, detentore dei diritti dei romanzi su Hannibal Lecter di Thomas Harris, per dirigere il remake-reboot di Manhunter - Frammenti di un omicidio, ovvero Red Dragon.

The Family Man è una comedy leggera con tinte drammatiche, anzi, per meglio dire melodrammatiche con fantasiose punte nel sovrannaturale cattolicamente mistico, uscita sui nostri schermi il 26 Gennaio 2001 dopo aver debuttato negli Stati Uniti in pieno periodo prenatalizio.

Poiché The Family Man, essendo un rifacimento sui generis, potremmo dire vagamente apocrifo, del celeberrimo La vita è meravigliosa di Frank Capra, ovviamente e canonicamente si prestò assai bene a essere presentato nei cinema in un cruciale momento opportuno per sfruttarne gli stilemi tipicamente commerciali adatti a quel classico clima falsamente edulcorato, dolciastro e un po’ stucchevole che si respira in prossimità e in concomitanza delle feste di Natale.

Quando la gente, illuminata improvvisamente da buoniste voglie di redenzione spirituale, caldamente ama coccolarsi l’animo con film dalle atmosfere lievi e carezzevolmente melanconiche. Anche, sinceramente, un po’ ipocrite...

Sintetizzeremo la trama, di per sé più stratificata di quanto possa sembrare, in poche righe nette:

il ricchissimo, impunito broker nababbo Jack Campbell (un incontenibile, scatenato e al solito esagerato Nicolas Cage), il quale vive amoralmente nel lusso e nella lussuria più sfrenata, attorniandosi perennemente da stupende donne che a lui generosamente si concedono con spregiudicata libidine sfrontata pur di ottenere vantaggi personali per le proprie ambiziose carriere impavide ma soprattutto impudiche, si sveglia, durante una fresca mattina di Natale, in una piccola casupola del New Jersey. Ora, non è più il direttore squalo, anche eticamente squallido, d’una multinazionale potentissima, bensì un modestissimo venditore di pneumatici, sposato alla sua ex donna, Kate Reynolds (Téa Leoni), lasciata tredici anni prima.

Da lei ha avuto due pargoletti molto carini. Pur essendo rimasta intatta la sua identità, Jack è adesso emotivamente sconvolto dall’essere carambolato e imbambolato in una parallela vita che, inizialmente, ai suoi occhi e al suo cuore appare come un’agghiacciante incubo a occhi aperti. Presto, però si accorge che una vita normale, da ammogliato marito fedele e amorevole, non è poi così tanto male, a differenza di quello che, sino a questo momento, aveva erroneamente pensato. Quindi, proprio quando sta per godere la sua comunissima, anonima vita di famiglia, ripiomba nuovamente nella sua vera, frenetica, corrotta esistenza da super privilegiato uomo miliardario. La magia, infatti, di una vita candidamente e melodiosamente ordinaria, è durata soltanto il breve istante fuggevole e inafferrabile d’un indistinto battito di ciglia della sua anima. Forse bugiarda o solo profondamente sincera.

 

Chiariamoci subito, a scanso di equivoci. Al di là della sbruffonaggine del grottesco overating paradossalmente apprezzabile e spassoso di Nicolas Cage, al di là della bella prova d’una graziosa e qui poco smorfiosa Téa Leoni e di un angelico, creaturale Don Cheadle, tralasciando la discreta partitura musicale di Danny Elfman (il compositore preferito da Tim Burton) e alcuni squarci suggestivi del direttore della fotografia Dante Spinotti, The Family Man è veramente brutto, insalvabile e la sua morale di fondo, pateticamente esplicitata più e più volte, in maniera ridondante e molto pedante nel finale consolatorio e stomachevolmente ruffiano, risulta indigesta e inaccettabile.

Si tratta, difatti, del tipico film studiato a tavolino, fake e così ripieno di glassa come un budino troppo cremoso da stimolare, più che l’acquolina in bocca, il rigetto.

Ratner tira in ballo Capra senza possederne il magistrale tocco poetico, eccede in dialoghi e situazioni imbarazzanti più che commoventi ed emozionanti, cucinandoci una volgare pacchianeria di bassa retorica, pregna di nauseanti luoghi comuni veramente ributtanti.

The Family Man è il peggiore film in assoluto di Brett Ratner.

 

 

di Stefano Falotico

 

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