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Estate romana

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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La recensione su Estate romana

di maurizio73
6 stelle

Rossella, attrice teatrale che vive un momento di fragilità emotiva ed esistenziale, torna nel suo appartamento romano dopo un periodo trascorso nell'eremo monastico di un convento gesuita. Qui convive per qualche tempo con il suo affittuario, un ex avvocato partenopeo che si è riconvertito nella produzione scenografica ed alla sua volenterosa assistente, una giovane separata con figlioletta a carico che fa la barista in un locale notturno dello movida estiva romana.
Garrone esporta la sua peculiare cifra stilistica, fatta di una costante ricerca di una dimensione narrativa che fluisce attraverso un elaborato documentarismo, nella location assolata e precaria di un'estate romana dove si intersecano con arbitraria causalità le vicende di personaggi a loro modo incapaci di imprimere una svolta decisiva ad esitenze incerte tra ambizione(spirituale,professionale,sentimentale) e concretezza, tra desiderio e appagamento, tra volontà e potere, sperdute come sembrano nel limbo di una crisi culturale (prima che generazionale) che li relega ad una indolente marginalità. Tampinado da presso i personaggi con la sua camera mobilissima e rielaborando i canoni del naturalismo attraverso la saturazione cromatica e la ridondanza dei rumori ambientali, l'autore romano realizza una sorta di manifesto 'in fieri' di un cinema dello spaesamento e dello sradicamento, in cui gli individui sembrano abbozzare delle flebili risposte ad esigenze soverchianti di stabilità e sicurezza (dai tentennamenti afasici della psicolabile protagonista alle approssimazioni professionali di un artista indeciso tra imprecisioni tecniche e velleità sentimentali, alle abitudini sregolate di una mamma single in cerca di un rapporto soddisfacente). Lungi dal cercare spiegazioni esaustive o di realizzarsi entro una improbabile perfezione formale, Garrone asseconda uno spirito di ricerca che diventa esso stesso un aspetto riconoscibile del suo cinema, dove l'interpretazione della realtà viene delegata più al valore 'soggettivo' delle immagini che ad una loro controversa oggettività. Non privo di improvvisi slanci lirici e di una ridondanza metaforica (il mondo di cartapesta che finisce su una affollata spiaggia del litorale romano, la paradossale location di uno spot fotografico di giovani che annaspano all'interno di una bolla di naylon, le ciniche 'lezioni' di un insofferente e disilluso regista teatrale) è comunque un esempio qualificante di un cinema che cerca di rinnovare il linguaggio aggiornando le tematiche di una sfuggente modernità ("Il testo è la realtà, l'unico testo che si può rappresenatre. Solo che questa realtà ci sfugge da tutte le parti, non sappiamo da che parte acchiapparla... ci vorrebbe uno scarto di più di fantasia...una trasversalità. Tutte parole però vedi già vecchie, usate, riusate, trasversale..." ). Aiuto regista quel Gianni di Gregorio che sarà sorprendente autore cinematografico di stralunate estati romane (qui pure comparsa insieme alla riconoscibilissima e icartapecorita musa ispiratrice Valeria De Franciscis). Cinema di ricerca e ricerca di un cinema, possiamo comunque dire: buona la terza!

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