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Drive My Car

Regia di Ryûsuke Hamaguchi vedi scheda film

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La recensione su Drive My Car

di Antisistema
10 stelle

L'eterointegrazione viene vista con una certa ostilità da parte della critica, poiché una pellicola dovrebbe essere autosufficiente nel proprio significante, senza dover far uso di elementi esterni all'opera per la decriptazione di essa. Ma dopo oltre 125 anni di storia del cinema, la stragrande maggioranza delle strade sono state battute, quindi è difficile fare o dire cose nuove, men che meno basare un film come Drive My Car (2021), sul tema iper-sfruttato dell'elaborazione di un lutto; ma il regista Ryosuke Hamaguchi, partendo dal potere della “parola”, ampiamente narrata oralmente quanto ripetuta ossessivamente tramite i nastri pre-registrati, riesce a plasmare un nuovo flusso di immagini, trovando così una strada originale nel girare un’opera difficile, complessa, quanto stratificata nei significati, ma dal ritmo cadenzato opportunamente, donando nuova forza ad un qualcosa di già visto in precedenza, con risultati molto graditi dalla critica mondiale, che ha tributato grandi elogi e numerosi riconoscimenti in tutto il mondo, tra cui il premio per la sceneggiatura a Cannes, per non tacere quello di miglior film internazionale, condite da altre tre nomination, tra cui migliore sceneggiatura, regia e miglior film nella categoria principale (purtroppo persi tutti e tre).
Ryosuke Hamaguchi adatta l'omonimo racconto breve di appena 25 pagine di Haruki Murakami, espandendone il soggetto base, attraverso una narrazione fluviale dalla durata di ben tre ore, mettendo in scena la perdita della moglie Oto (Reika Kirishima), da parte del regista e attore teatrale Yusuke Kafuku (Hidetoshi Nishijima), un dolore per la dipartita accentuata dai tradimenti coniugali della moglie quanto dall’incapacità del merito nell’affrontarli, fino a che il tragico evento mette fine ad ogni suo proposito, provocandogli una crisi così forte devastante, impedirgli di proseguire come attore nello spettacolo Zio Vanja di Cechov. Trascorsi due anni dall’accaduto, Yusuke è ancora scosso dalla perdita, accetta di mettere in scena, solo come regista, un adattamento multilingue di Zio Vanja, tramite un cast eterogeneo composto da attori di varia nazionalità, dovendo però subire l’imposizione come autista, da parte della compagnia teatrale, della giovane Watari (Toko Miura). 

 

Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura

Drive My Car (2021): Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura

 

Drive My Car è un film apparentemente costruito sul potere della parola, dove essa riesce ad aprire nuove possibilità espressivo-comunicative, invece di creare della barriere, come invece si potrebbe pensare, perché qui lo Zio Vanja di Cechov, viene rappresentato in versione multilingue, aprendo in tal modo nuove possibilità non basate sul verbo, ma sulla sensorialità scaturenti da esso, come novella via comunicativa; una dichiarazione d’intenti enunciata nei primi quaranta minuti, sin dalla scena d’apertura, dove Ota, inquadrata in controluce mentre sta facendo sesso con Kafuku, ne crea l’atmosfera intima tramite un racconto erotico, la cui prosecuzione narrativa più volte ritornerà nel corso della narrazione, concludendosi con il racconto fattane da Koji Takatsuki (Masaki Okada), attore scelto per la parte di Vanja, una sua versione della storia, veritiera o meno, come del resto è il mestiere dell’attore, che non si limita alla memorizzazione del testo, ma deve introiettare dentro di sé un complesso di relazioni, sentimenti e rapporti umani.
Drive My Car tramite l’impianto meta-narrativo dell’opera di Cechov, mette in scena l’amarezza del tempo trascorso ed i rimpianti per le occasioni mancate, facendo emergere nei suoi interpreti gli istinti più viscerali, dando così nuova vita ai lavori del maestro russo, tramite una coralità di attori internazionali e relative maestranze, le quali, con le loro esperienze, nonché le cicatrici, si muovono nel palcoscenico di Hiroshima, la città ferita per antonomasia, protagonista del primo bombardamento atomico della storia dell’umanità, dove solo uno spettrale edificio, testimonia silente il devastante accaduto; una cicatrice che scava in profondità il volto della moderna metropoli, sorta dalle ceneri dell’apocalisse.
Si parte da Tokyo, si arriva ad Hiroshima, concedendosi un’escursione nel profondo nord, nell’ex-residenza natia dell’autista Watari, donna con la quale il diffidente Kafuku, entrerà sempre di più in contatto umano, grazie ai lunghi tragitti percorsi nella Saab 900 di colore rosso, donando nuova vita ad un veicolo, che prima era poco più che una sinistra bara in movimento, dove l’uomo memorizzava, tramite la ripetizione delle battute, i testi teatrali attraverso le registrazioni fattane dalla defunta moglie Ota.

 

scena

Drive My Car (2021): scena

 

Negli sguardi e nelle lunghissime pause tipiche del teatro di Cechov, a cui la macchina da presa di Hamaguchi aderisce appieno attraverso una regia minimalista, lungo il procedere della narrazione lascia fluire su di sé ed i propri personaggi, un fiume di parole e frasi, specie nel prologo iniziale, per poi puntare a far emergere da esse le sensazioni degli interpreti e dell'autista, che si legano appieno con i loro sentimenti,  in una simbiosi perfetta tra forma e contenuto, dove le letture spersonalizzate del copione di Zio Vanja, fatte nelle prove dai loro interpreti, si aprono successivamente a momenti di sincera confessione sull’arte dell’attore, in cui Kafuku dichiara con estrema schiettezza, su come Cechov sia terribile, poiché seppe ben mettere in scena la complessità degli stati d’animo dell’essere umano nel proprio vivere quotidiano. Carenza d’azione, poco dinamismo e mancanza di drammaticità esibita, furono (quanto tutt’ora sono), difetti che i detrattori hanno da sempre imputato a Cechov, tutte qualità invece che Hamaguchi fa proprie, donando ulteriore vita al suo Zio Vanja, dove il valore della parola viene mano a mano meno, sino alle battute finali nel profondo nord innevato del Giappone, concludendosi nello spettacolo teatrale con il celebre monologo finale sul bisogno di vivere da parte di Sonja, interpretata nello spettacolo da un’attrice sordo-muta, la quale, nell’impossibilità di parlare, tramite l’ausilio del linguaggio dei segni, finisce con l’amplificare la potenza del testo cechoviano di partenza, che da sempre ha fatto si, che il personaggio-interprete, guardi a fondo dentro di sé, per trovare le risposte necessarie, innanzi all’impossibilità di comprendersi con il prossimo, elemento qui accentuato come detto, dal cast multilingue scelto.
Nell’arco di tre ore di narrazione, con numerose sotto-trame incentrare sui vari componenti dello spettacolo, qualche elemento potrà sembrare meno riuscito rispetto ad altri o addirittura futile nel peso dell’economia della narrazione (critiche vi sono state a proposito del glaucoma all’occhio sinistro di Kafuku, elemento ovviamente da leggere in modo simbolico, sulla scelta consapevole di non voler affrontare la questione dei tradimenti della moglie), senza tacere dell’impossibilità di fruire appieno l’opera, perdendo così numerosi riferimenti, in mancanza di una conoscenza preliminare di Zio Vanja, che non solo funge da impalcatura di tutto il film, ma risulta strumento indispensabile per comprendere l’enorme scavo psicologico fatto dagli attori, tramite delle precise modalità interpretative quando affrontano la messa in scena del testo teatrale sul palcoscenico, cominciando dai lunghi silenzi, atti tirar fuori ciò che viene celato nelle profondità dell’animo umano. Cechov quindi è strumento indispensabile, per poter capire appieno la potenza stilistica di un film indubbiamente elitario quanto lontano da qualsiasi moda contemporanea, ma capace così di trovare nel nuovo millennio, la strada necessaria atta a donare alla settima arte un nuovo capolavoro assoluto del cinema.

 

Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura

Drive My Car (2021): Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura



Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

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