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La figlia oscura

Regia di Maggie Gyllenhaal vedi scheda film

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La recensione su La figlia oscura

di Furetto60
7 stelle

Bell'esordio cinematografico di Maggie Gyllenhaal. Tratto da un ottimo romanzo della "fantomatica" Elena Ferrante

Durante una vacanza a Corinto in Grecia, una silenziosa insegnante universitaria, Leda Caruso, divorziata da tempo, con due figlie adolescenti partite per raggiungere il padre in Canada, sta leggendo placidamente sulla spiaggia, quando degli schiamazzi le giungono all’orecchio, è giunto un nucleo familiare o per meglio dire una piccola tribù, rumorosa e invadente. Sono tanti, per poter stare insieme, le chiedono di spostare il suo ombrellone, come hanno già fatto altri,  ma lei è irriducibile, malgrado le preghiere prima e gli insulti poi, non cede e rimane al suo posto. Nel frattempo si accorge di Nina, una giovane madre, che  improvvisamente, a chi non è successo, perde di vista la figlioletta di tre anni Elena, così insieme ai suoi numerosi ed esuberanti parenti e ai bagnanti del posto, comincia una serrata ricerca, finché  proprio Leda la ritrova e l’agitazione sembra rientrare. Nina ovviamente prova gratitudine verso Leda e in breve, superando l’impasse iniziale, fanno amicizia, per quanto agli antipodi per carattere: ombrosa e riflessiva lei, quanto solare e superficiale Nina. Tuttavia c’è un altro problema, la bambina ha smarrito la sua bambola preferita, che Leda ha segretamente e insensatamente nascosto. Nel guardare  madre e figlia legate da un intenso e viscerale rapporto, la professoressa viene assalita dai suoi malinconici ricordi. Nei tanti flashback, apprendiamo i suoi trascorsi; il periodo in cui giovanissima madre, faticava a gestire le due figlie piccole, una carriera da scalare e pochi aiuti, al punto che lei  le aveva abbandonate per tre anni, lasciandole al suo ora ex marito. Nella trasposizione cinematografica la regista Maggie Gyllenhaal,  al suo esordio, si mantiene fedele al romanzo originale. Il film e prima ancora l’ottimo lavoro della Ferrante, indaga una tematica scottante: la maternità, a volte subita dalle circostanze e dalla consuetudine, più che realmente desiderata; diventare madre vuol dire accollarsi il più grande degli  impegni e una gravosa responsabilità, che dura per tutta la vita, richiede dedizione e tanto amore incondizionato; la terza protagonista della storia, la più importante, è un oggetto, non uno qualsiasi, bensì quello celebrato, cercato e poi nascosto: la bambola. Per ogni bambina  è qualcosa di speciale, con cui si gioca a fare proprio la mamma, accudendola amorevolmente, simulando il momento della pappa e portandola a spasso in carrozzina, un modello che di solito insegnanti e genitori, per consuetudine e conformismo, favoriscono; un antico gioco di ruolo, che  malgrado l’emancipazione della donna, il femminismo e quant’altro resiste ed è tramandato da secoli, per suscitare in ogni bambina il sentimento materno. I giocattoli hanno grande valenza evocativa, grazie ad essi, i bambini imparano a riconoscere i propri ruoli;  dunque alle piccole da sempre vengono regalate bambole con  arredi e vestiti, o utensili da cucina in miniatura; ai maschietti si donano pistole e soldatini , così che possano aderire  ai modelli sociali consueti. Quella bambola rubata, per  Leda, rappresenta il suo desiderio di non essere madre, di evadere da un ruolo che le è andato stretto, una ribellione alle aspettative di una società, che è molto critica verso chi non prova questo afflato senza remore, che invece implica impedimenti, rinunce e compromessi. Leda è una donna infelice e disadattata, non in pace con se stessa, in balia dei suoi sensi di colpa e del profondo rimorso, si sente una madre snaturata. La storia narrata con rigore e sobrietà, prerogative della Ferrante, è il racconto di un potente tabù, quello dei sentimenti conflittuali , che agitano la coscienza di chi diventata madre, va in crisi,al di là delle aspettative sociali, secondo cui è naturale essere genitrice amorevole e giudiziosa,senza se e senza ma.Il film ha vinto molti premi, meritatissimi.

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