Espandi menu
cerca
Don't Look Up

Regia di Adam McKay vedi scheda film

Recensioni

L'autore

mck

mck

Iscritto dal 15 agosto 2011 Vai al suo profilo
  • Seguaci 208
  • Post 133
  • Recensioni 1078
  • Playlist 312
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Don't Look Up

di mck
7 stelle

Don’t Look Up è un film semplificatorio e macchiettistico che fotografa la realtà (ch'è più complessa, ma già altrettanto caricaturale e, a sua volta emulando e ricalcando un immaginario cinematografico di risulta, inconsapevolmente autoparodica di per sé) e al contempo ne è sopraffatto: l'originale rende inutile una copia conforme. Fucking Morons.

 

Del cinema di Adam McKay, così come per quello di J.C.Chandor (li “accomuno”, per l’occasione, in quanto entrambi, autori molto diversi uno dall’altro - farsesco il primo, e serioso il secondo -, hanno diretto ciascuno un film sulla crisi finanziaria mondiale del 2008: “the Big Short” e “Margin Call”), di Todd Phillips (li “accomuno”, per l’occasione, in quanto entrambi provengono da una radice comica “comune” - il Saturday Night Live l'uno e la trilogia di “the Hangover” l'altro -, ma poi si sono dati alla pazza gioia del cinema impegnato: per quanto riguarda il secondo con “War Dogs” e  l'exploit universale di “Joker”) e di Jay Roach (li “accomuno”, per l’occasione, in quanto entrambi, oltre a provenire da una radice comica “comune” - il dittico di “AnchorMan” l'uno e “Austin Powers” + “Meet the Parents” l'altro - ed essers'in seguito dati alla pazza gioia del cinema impegnato, proprio in quell'ambito hanno diretto ciascuno un film in orbita Casa Bianca repubblicana parlando di due persone appartenenti allo stesso “partito”, ma che più dicotomiche non sarebbero potute essere: “Vice” su Dick Cheney e “Game Change” su John McCain), me n’è mai fregato poco più o meno di alcunché, e così quando m’accinsi, ieri l'altro, ad assistere - attirato dal cast principale schierato a testuggine e composto da Meryl Streep ('n do' la metti, sta, oh), Cate Blanchett (suo il momento eros-thanatos migliore di questo ventennio dopo quello di Marie Richardson in "EWS"), Jennifer Lawrence (adorabile meme vivente a colpi di Wu-Tang Clan) e Leonardo DiCaprio (che, scopro, s'è magnato Johnny Galecki per entrare in zona Leonard Hofstadter): un’occhiata vorrai pure dargliela, no? - a “Dont Look Up”, ero quasi completamente a digiuno del primo, ancora impegnato ad espellere dalla memoria l’indigesto e summenzionato “Margin Call” ad opera del secondo, grossomodo pervicacemente ignaro, nonostante gli hangover jokeriani, del terzo e vagamente memore del quarto, ancorché all'oscuro di Campaign/Trumbo/BombShell, grazie al parimenti sopracitato “Game Change”.

 

(Ecco una simpatica immagine di Paolo Bonolis e Uan mentre tentano di...

(...avvertire il mondo tutto del pericolo imminente: "Maledirete la Fininvest!")

 
Tutto sommato, “Don’t Look Up” è un film piuttosto irritante perché decide di affogare il realismo - che c’è, financo pure costituito da alcune parti di iperrealismo - con la farsa, e per varie ragioni:
- nel Male: l’ultima cena del mondo con Timoteo Cialacoso che si mette a pregare: mi spiace, ma io lo ammazzo prima dell’Apocalisse, non lo lascio all’Armageddon…
- nel Bene: la boccuccia a forma di culo di Jack Bremmer (Tyler Perry): in pochi centimetri quadrati è rinchiusa tutta l’essenza di Bianca Berlinguer, Giovanni Floris, Concita De Gregorio, Corrado Formigli, con una spruzzata diarroica di Massimo Giletti…
- nel Ma Che Cazzo: che bisogno c’era di fare un film di due ore e un quarto per raccontare vita, morte e miracoli di Bartolomeo Pepe? Non bastava un TSO preventivo?

 


Epperò è pur’anche un film che, su scala ridotta, di riporto coglie bene certi sfilacciamenti dello zeitgeist: fatte le debite proporzioni, la cometa Dibiasky sta alla CoVid-19 (o, come in principio nelle intenzioni degli autori, al surriscaldamento climatico globale) come le elezioni di metà mandato U.S.A. stanno alle elezioni del Presidente della Repubblica Italiana farcite con quelle politiche anticipate: se loro avessero avuto un Trump-bis e noi uno stato emergenziale & d’eccezione guidato non dalla Santissima Trinità articolantes'in Conte-Draghi-Figliuolo ma da un magna sugna & una vaiassa a caso…

Cioè, noi siamo (voi siete, essi sono) più idioti oggi rispetto ai tempi (sessant’anni fa, 1963) di “Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb”? No. L’idiozia, per quantità e qualità, è la stessa…

-[per rimanere al dopo-dopoguerra: “The Marching Morons” di Cyril M. Kornbluth è del 1951, “The Demon-Haunted World” di Carl Sagan e “Mars Attacks” di Tim Burton sono di metà anni ‘90, “Pump Six” di Paolo Bacigalupi è del 2008 e “Contagion” (con la “forsizia” che anticipava l’ivermectina e l’idrossiclorochina) di Steven Soderbergh è del 2011]-

…da sempre, solo che “Don’t Look Up” (un "Wag the Dog" levinson-beinhart-henkin-mametiano al contrario sulla falsariga del sin troppo ottimista "Idiocracy" di Mike Judge) l’ha diretto e scritto Adam McKay [partendo da un soggetto condiviso con David Sirota: firma del Guardian, redattore di Jacobin (¡un socialista!) e speechwriter per Bernie Sanders durante la campagna per le presidenziali del 2020] e non... tipo... coso... quell'altro... Stanlio Rubik: è un concetto facile da comprendere, no?

Insomma: la corretta classicità di Stanley Kramer & Sidney Lumet ("On the Beach"/"NetWork") allungata con la pesantezza moralista di Eric Gandini, Davide Parenti e Antonio Ricci: no, grazie. O, ancora, ma diversamente: “Melancholia” & “4:44 Last Day on Earth” + “This Is the End” di Goldberg/Rogen & “The World's End” di Edgar Wright: finché rimangon separati, è tutto ok, ma per amalgamarli bene ci vuole, per l’appunto… “We’ll meet again… Some sunny day…”.

E non bastano un Bon Iver sui titoli di coda e una tripletta accennata dei Mills Brothers a salvare dall’ascolto di un quas’intero brano di Riley Bina e DJ Cello (Ariana Grande & Kid Cudi).

D’altronde, nulla che i Simpson (nel 1995 con “Bart’s Comet”, stag. 6, ep. 14) o la Realtà avessero già fatto, niente, e… meglio [mentre Pregliasco sembra non capire cosa stia accadendo e Bassetti sta già pensando al prossimo passo ("Itaglia... Uno!"), a “difesa” di Crisanti bisogna ammettere ch'è del tutto evidente che gli stanno puntando, da fuori campo, una pistola alla testa].

 

 

Completano l’ottimo cast: Jonah Hill, Rob Morgan, Mark Rylance (giusto per mettere sullo stesso piano DonaldTrump/HillaryClinton ed S.R.Hadden/ElonMusk/JeffBezos/RichardBranson), Melanie Lynskey (sempre molto brava), Paul Guilfoyle (pidocchioso marcaterritorio: Dibiasky che ripetutamente s’interroga sulla natura della sua ingordigia spicciola è una delle parti migliori del film), Ron Perlman (una via di mezzo fra Buck Turgidson, Jack D. Ripper e T.J. “King” Kong) e un Michael Chiklis in versione Rush Limbaugh.


Fotografia di Linus Sandgren (David O. Russell, Damien Chazelle), montaggio di Hank Corwin (Oliver Stone, Terrence Malick, “Luck”, Adam McKay), musiche di Nicholas Britell (Adam McKay, Barry Jenkins). Producono HyperObject Industries e Bluegrass Films e distribuisce Netflix.

 

Risultati della gara di tiro nuculare con la fionda alla cometa:

- U.S.A.: due fallimenti (uno volontario, l'altro involontario)

- Cina, Russia & India: un fallimento (cosmodromo di Bajkonur)

- Unione Europea: non pervenuta (in fondo è quella che ne esce meglio...).

 

Ottimi sia il prologo, semi-documentaristico, con le effemeridi Terra-Dibiasky che sulla lavagna tendono allo zero, e allo zero stanno, restano e rimangono, perdurando nonostante le si cancelli con un polsino utilizzato a guisa di rotolo di cimosa, e tutto il lento estinguersi terminale: il nostos, la spesa, la cena, l'onda d'urto che bussa alla porta.


Il colpo di scena finale è telefonato dall'algoritmo quantistico (il retro-fullfrontal della Signora Streep invece no), ma carino, mentre il breve inserto dopo i titoli di coda spegne definitivamente il film con un lamento e non con un bang.

 

Nel midollo compiacente, opportunista e velleitario, ma con qualche pregio che trasuda percolando in superficie: “Don’t Look Up” è un film semplificatorio e macchiettistico che fotografa la realtà - che è più complessa, ma già altrettanto caricaturale e, a sua volta emulando e ricalcando un immaginario cinematografico di risulta, (in)consapevolmente autoparodica di per sé - e al contempo ne è sopraffatto: l'originale rende inutile una copia conforme. (Diciamocela tutta: Adam McKay è il Massimiliano Bruno statunitense.)


Fucking Morons.

* * * ¼/½ - 6.75    

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati