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E noi come stronzi rimanemmo a guardare

Regia di Pierfrancesco Diliberto vedi scheda film

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La recensione su E noi come stronzi rimanemmo a guardare

di pazuzu
4 stelle

Il limite del film di Pif sta nel suo limitarsi a un ricalco del reale in chiave farsesca che rimane sulla superficie delle immagini, senza andare a fondo in una narrazione che sappia sorprendere o coinvolgere.

 

 

Arturo (Fabio De Luigi) ha creato un algoritmo che ha permesso alla propria azienda di individuare ed eliminare le sacche improduttive: anziché venir premiato, si ritrova però per paradosso ad essere lui stesso ritenuto superfluo, quindi un esubero. Licenziato dal lavoro, viene anche mollato dalla compagna una volta che l'app "Happy Lover", con il suo gettonatissimo test di compatibilità, li ha informati che tra loro l'indice di affinità è troppo basso, e sono quindi incompatibili. Solo, disoccupato e senza il becco di un quattrino, si mette a cercare un nuovo impiego, ma l'unico che trova è quello di rider con "Fuuber". Sottopagato e privato del benché minimo diritto, trova consolazione in "Fuuber Friends", un'altra app dello stesso gruppo, che scarica in virtù della settimana di prova gratuita e il cui scopo è fornire a chi vi accede la compagnia di un amico ideale: a presentarglisi, sotto forma di ologramma, è la bella Stella (Ilenia Pastorelli), della quale presto si accorge di non poter fare a meno. Terminato il periodo di prova, però, Stella non gli appare più, e l'app gli ricorda che per tornare a vederla deve sottoscrivere un abbonamento da 199 euro a settimana.

 

 

E noi come stronzi rimanemmo a guardare intende fornire una lettura critica della società contemporanea, utilizzando il rider, con i meccanismi umilianti che caratterizzano il suo lavoro, come un paradigma utile ad estendere il discorso ad ogni ramo del vivere sociale, laddove la tecnologia tende ad andare oltre il ruolo di semplice supporto per farsi sempre più amministratore del tempo e delle scelte di ciascuno.
Se è vero che la realtà supera la fantasia, non è che ne sia servita poi tanta a Pif (al secolo Pierfrancesco Diliberto) e al cosceneggiatore Michele Astori per creare il contesto su cui dipanare il racconto, che è quello di una sorta di attualità rinforzata (o che sarebbe meglio definire 'realtà aumentata applicata') dove "Cupido" diventa "Happy Lover" e "Uber" diventa "Fuuber", e dove il rinforzo sta nell'utilizzo degli ologrammi in 3D e in qualche spunto simpatico sparso qua e là (il Pronto Soccorso virtuale, ad esempio). Il presente alternativo voluto da Pif per la sua terza regia si limita ad essere però solo parzialmente plausibile, per via di una sceneggiatura sfilacciata e piatta che impedisce all'idea di base di trasformarsi in un racconto dalla struttura solida.

 

 

Il limite del film di Pif (che si ritaglia il ruolo di un professore di filologia romanza che arrotonda facendo l'hater sul web) sta nel suo limitarsi a un ricalco del reale in chiave farsesca che rimane sulla superficie delle immagini, senza andare a fondo in una narrazione che sappia sorprendere o coinvolgere. Eccezion fatta per qualche risata, che non manca, l'assente ingiustificato è lo spessore, necessario a indurre a una riflessione sulla progressiva erosione delle libertà personali ad opera di app che governano tutto, anche i rapporti umani, o sull'incapacità dell'uomo moderno di tornare autonomo rispetto a dei logaritmi che, chiedendo e ottenendo il permesso, incidono sui percorsi e ne decidono i destini. Le buone intenzioni restano ferme sulla carta e gli autori lo sanno, dunque, per assicurarsi che il 'messaggio' venga recepito, affidano le conclusioni, scontate e pure posticce, ad uno spiegone finale imbarazzante.

 

 

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