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Old

Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film

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La recensione su Old

di rickdeckard
7 stelle

Alla sua 14esima regia, Shyamalan si diverte a giocare con lo spettatore in un thriller ad alta tensione che è innanzitutto una dolente riflessione sulla crescita, sull'invecchiamento, sulla limitatezza dell’esistenza umana di fronte allo scorrere inesorabile del tempo, un tour de force tensivo ed emotivo che incede verso l’unica fine possibile.

 

Fra tutti i grandi temi universali, quello del tempo è, probabilmente, uno dei più dibattuti, trattati, argomentati, uno di quelli il cui eterno e inesauribile fascino continua a essere motivo d’interesse per ogni forma d’arte così come per chi, invece, l’arte la fruisce. Il motivo di tale interesse nei confronti di esso va ricercato, probabilmente, nel suo essere strettamente collegato al concetto di scadenza, di inizio e di fine, di impossibilità di sfuggire a un destino (la morte) che è in fin dei conti l’unica cosa che ci accomuna tutti. Inutile precisare come anche il cinema, in tal senso, abbia dato il suo importante contributo: basti pensare anche solo al recente Tenet di Christopher Nolan. Così, a quasi un anno di distanza da quel film discusso e chiacchieratissimo, mentre ancora stiamo attraversando un periodo in cui l’impatto del COVID-19 sul mondo intero sembra aver profondamente alterato il nostro rapporto con il passare dei minuti, delle ore e dei giorni, ecco arrivare nei cinema di tutto il mondo un altro film incentrato sullo stesso tema: si tratta ovviamente di Old, thriller ad alta tensione firmato M. Night Shyamalan (“la mente de Il Sesto Senso e Split”, come recita la tagline impressa sulla locandina ufficiale), insieme al collega britannico una delle personalità più riconoscibili e significative del panorama hollywoodiano contemporaneo. Allo scopo di fugare ogni dubbio sulla buona riuscita o meno del suo ultimo lavoro, si può tranquillamente affermare che quest’ultimo si inserisce perfettamente nell’attuale, ispirata fase della carriera del cineasta indiano, rinvigoritosi dopo un periodo segnato da una serie di insuccessi sia di pubblico che di critica. Dopo quindi aver riconquistato i favori dei cinefili con The Visit (2015) e dopo aver portato a termine la sua singolare trilogia supereroistica (o sarebbe meglio dire superomistica) con Split (2016) e Glass (2019), Shyamalan si getta a capofitto in un storia che, ancora una volta, trova il suo maggiore punto di forza nell’ormai invidiabile padronanza del mezzo cinematografico acquisita dal suo autore: quest’ultimo, infatti, lavorando intelligentemente sul fuori campo e sull’esposizione dell’orrore alla luce del sole (dove tutto è chiaro e manifesto in aperto contrasto con il mistero che avvolge la vicenda), mette in campo una regia sontuosa e pulitissima che, tra arditi movimenti di macchina e suggestive panoramiche, conferisce grande importanza ai dettagli e catalizza l’attenzione non tanto sulla natura intrinseca degli avvenimenti, quanto piuttosto sulle reazioni che essi suscitano nei personaggi, i quali, trascurando il presente perché fagocitati dai rimpianti del passato e dalle preoccupazioni per il futuro, sembrano subire lo scorrere del tempo anziché viverlo: un atteggiamento che trova più di un aggancio con la società attuale, nella quale la stragrande maggioranza delle persone vive con il piede premuto sull’acceleratore, preoccupandosi unicamente della quantità e mai della qualità delle esperienze di vita. Se da una parte Old può essere definito un’opera corale per come pone tutti i personaggi sullo stesso piano e nella stessa condizione di prigionia di fronte allo scorrere del tempo, è quest’ultimo a ergersi ad assoluto protagonista e, al contempo, ad antagonista sfuggente e impalpabile, che aleggia in ogni inquadratura come una presenza astratta e costantemente incombente. Un’asfissiante sensazione di ineluttabilità che si percepisce fin dall’efficacissimo incipit, e che emerge sempre di più man mano che il racconto procede, in un costante crescendo tensivo ed emotivo che Shyamalan riesce a gestire al meglio, grazie a un montaggio formidabile e ad una notevole calibrazione dei tempi narrativi. Ma il concetto di tempo in Old non è analizzato solo dal punto di vista della percezione umana dello stesso: nel ridurre l’esistenza di un gruppo di persone a una sola giornata, Shyamalan mette in atto, anche se in un’ottica differente, una soluzione a cui il cinema ricorre molto spesso, ovvero quella della sintesi, della contrazione, del racconto di un’intera vita in un paio d’ore o poco più: così il film si arricchisce di una componente teorica di matrice metacinematografica che trova la sua massima espressione nell’abituale, azzeccatissimo cameo che si ritaglia il regista, narratore onnisciente e primo spettatore della serie di eventi apparentemente inspiegabili che si verificano sulla spiaggia. Se si esclude qualche dialogo eccessivamente artificioso, l’unico elemento veramente penalizzante è la parte conclusiva: nel tentativo (non necessario) di dare una spiegazione a quanto avviene, infatti, la narrazione si protrae inutilmente per alcuni minuti, sfociando in un finale che, pur offrendo notevoli interrogativi sul rapporto tra scienza ed etica, ha tutta l’aria di essere un compromesso commerciale piuttosto didascalico e un po’ facilone che depotenzia parzialmente l’incisività dell’opera. Cupo e angosciante, ma anche intimo e dolente in alcuni momenti, Old è un film certamente imperfetto, che per alcuni spettatori potrebbe anche risultare respingente, ma che riesce a non lasciare indifferenti grazie soprattutto ai numerosi, importanti spunti che propone. Voto: 7,5

 

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