Lo statuto incontrovertibile del tempo e la lotta impari contro di esso, un costante leitmotiv nella storia del cinema, linguaggio concepitosi proprio su tale ordinamento.
Lo sguardo – da sempre e per sempre fanciullesco – di un autore che giunge a misurarsi con l’inevitabile realtà dell’invecchiare, osservare il proprio corpo decomporsi gradualmente e perdere di dignità, tornando infine a ciò che fu in origine: il nulla.
Quello stesso autore che, da dietro la macchina da presa, gioca con il pubblico, con i suoi personaggi e con le loro storie, personificando la volontà e il senso primordiale di ludico.
Old è un film stratificato, forse anche ingenuo ma autentico, al pari delle gesta di un bimbo, e proprio per questo (per quel poco che può valere una simile asserzione) è il capodopera di Manoj Night Shyamalan. Sempre siano lodati lui e quei registi che adoperano il cinema come fosse un balocco, la grammatica come fosse un castello di sabbia, nel diletto e nell’illusione (sempre più affievolita) di restare bambini, dopotutto.
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