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Il potere del cane

Regia di Jane Campion vedi scheda film

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La recensione su Il potere del cane

di Furetto60
8 stelle

Notevole e atipico "western" firmato dalla brillante regista Jane Campion. Film che si ricorda

Siamo nel 1925, in Montana,in realtà si tratta della Nuova Zelanda, dove Phil e il fratello George gestiscono il ranch di famiglia. Il rapporto tra i due fratelli è conflittuale: Phil ama il lavoro materiale, gli spazi aperti e comanda con piglio severo gli allevatori che lavorano per loro; George, al contrario, veste abiti eleganti ed è più interessato a tessere relazioni con la aristocrazia locale, piuttosto che seguire le orme del vecchio mandriano Bronco Henry, un mitologico “vero uomo del West “che Phil rievoca spesso, poi capiremo perché. Phil è rozzo, prepotente, omofobo e maschilista, interpretato da un grande Benedict Cumberbatch. George sposa la padrona della locanda la vedova Rose, l’ottima Kirsten Dunst, che si trasferisce nella magione dei due fratelli Burbank con il figlio Peter. Phil, non gradisce queste nozze e non tollera “l'intrusione”dei due nuovi inquilini, che sistematicamente bullizza in tutti i modi. Ritiene Rose unicamente interessata alle ricchezze della famiglia e giudica Peter deboluccio ed effeminato, solo perché è un ragazzo introverso e garbato, antitesi del mandriano maschio, macho. Il titolo del film si riferisce al Salmo 22:20,Salva l’anima dalla spada, salva il cuore dal potere del cane”Nella citazione da cui lo scrittore Savage estrapola il titolo, i cani non sono altro che gli assalitori di Cristo, pronti a condurlo alla croce. La guerra “fredda”, che si scatena tra Phil e i familiari acquisiti, è tra due modelli di vita agli antipodi .Phil intende la vita, come un superbo mantenimento della “status quo”,si impone duramente come maschio alfa, tipico cowboy, leader autoritario ma uomo anaffettivo, lo vediamo castrare un vitello senza guanti, con movimenti “chirurgici”; Peter invece è gentile e solitario, gli piace studiare ed è poco portato per i lavori manuali, giudicato da Phil uno sciocco e imbranato bamboccio-ne, attraversa il film con passo felpato e un comportamento apparentemente distratto, sembra passivo, è destinato invece a cambiare gli equilibri e le sorti familiari. Rose è una donna fragile, al punto che, inibita dalle continue derisioni del cognato, non riesce più a suonare il suo strumento :il pianoforte. Invece Phil il mandriano-fabbricatore di pelli, è una figura carismatica, ma ostentatamente sgradevole e ruvida; inizialmente impone il suo “modus vivendi”, condizionando negativamente l'umore della famiglia;George non si pone esplicitamente in conflitto con il fratello, lo critica ma in qualche modo lo teme,ne subisce le frequenti ingiurie «grassone stupido» e non interviene a favore della neo-sposa,quando costui la denigra pubblicamente e tanto meno si spende per il figlio di costei. Rose sentendosi in trappola e temendo per il figlio, ritenuto a torto debole, si dà alla bottiglia, peraltro anche il l'ex marito morto suicida era un alcolizzato; tuttavia Peter solo apparentemente mansueto, è sottilmente e perversamente intelligente e conquista, dopo qualche inciampo iniziale, la stima di Phil, che in un momento di confidenza,gli fa intuire il passato nascosto e la sua natura omosessuale a lungo repressa. Peter userà scientemente la confidenza accordatagli "Il potere del cane" è il film con cui Jane Campion è tornata alla regia a 12 anni di distanza dal precedente "Bright Star",adattando il romanzo di Thomas Savage pubblicato nel 1967, lo fa mettendo in campo molti dei temi tipici del suo cinema: dal rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente selvaggio che li circonda, alle sottili dinamiche erotico-psicologiche che si sviluppano tra i personaggi; la confezione patinata e raffinatissima conferma il suo grande talento estetico, tanto nella costruzione delle inquadrature, quanto nei giochi di luci e ombre. La pellicola  sta conquistando diversi riconoscimenti prestigiosi;dopo il Leone d’argento per la regista Jane Campion alla Mostra del cinema di Venezia del 2021, sono arrivati ben tre Golden Globe: miglior film drammatico, miglior attore non protagonista Kodi Smit-McPhee e miglior regia. Il film è lungo, il ritmo blando, richiede una soglia di attenzione molto alta e forse più di una visione,per essere compreso e per coglierne tutte le sfumature. Potrebbe non piacere a tutti, ma è innegabile che si tratti di un prodotto notevole, realizzato con maestria e che trasmette un messaggio importante adoperando un linguaggio complesso e simbolico. Il titolo come già accennato, è ripreso da un versetto dei Salmi. Il termine “cane” nel passato era spesso usato nell'accezione denigratoria,prima di diventare un animale domestico, era una bestia da branco. Per questo motivo, si può leggere come una metafora per indicare il potere dell’inconscio, delle pulsioni latenti che tormentano dall'interno Phil. La cosa intrigante e insolita, è che questa storia si svolge in un contesto western, il genere che per tanto tempo ha costruito stereotipi ben diversi:l’uomo forte e virile, il becero razzismo nei confronti degli indiani, raccontati come selvaggi refrattari alla civiltà, da sterminare e infatti di fatto sterminati; la regista invece usa una dimensione psicologica e imbastisce una storia che mette alla berlina i cliché, che il genere stesso ha contribuito a realizzare nel tempo. Qui l'uomo senza scrupoli, è il personaggio che fisicamente e caratterialmente, si allontana più di tutti dall’immagine classica:Peter è un ragazzo gracile, poco atletico, ma umiliato e deciso a riscattarsi dai soprusi subiti e soprattutto a liberarsi dal giogo della sistematica vessazione. È una pellicola che lavora in sottrazione per ciò che concerne la sceneggiatura; le battute sono tutte costruite per arrivare, pian piano, a delineare il tema della storia e per permettere allo spettatore di capirne il senso.  Lavoro delicato e misurato, regia asciutta, lucida, ma allo stesso tempo potente nel trasmettere un senso malsano di oppressione e  di malessere. È un film che si ricorda



 

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