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Storia di un matrimonio

Regia di Noah Baumbach vedi scheda film

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La recensione su Storia di un matrimonio

di Peppe Comune
8 stelle

Charlie (Adam Driver) è un talentuoso regista teatrale. È sposato con Nicole (Scarlett Johansson), un’attrice di teatro che aspira ad entrare nel mondo del cinema. I due hanno un figlio di nome Henry (Azhy Robertson), che vive ancora come un gioco i lavori affascinanti che fanno i suoi genitori. Dai numerosi amici che circondano la loro vita, Charlie e Nicole sono visti come una coppia ideale, sempre pronta ad aiutare gli altri e a scambiarsi segni di incondizionata complicità. Eppure, il loro matrimonio entra in crisi, a causa della reciproca incapacità di dare un nome alle loro incomprensioni e a delle carriere che si intendono far crescere. Quando gli viene offerto un ruolo importante in una nuova serie televisiva, Nicole lascia la compagnia teatrale e si trasferisce a Los Angeles insieme al figlio. Charlie deve invece rimanere a New York perché il suo spettacolo andrà in scena a Broadway. La lontananza, sia fisica che artistica, acuisce la loro crisi matrimoniale e l’unica strada percorribile sembra essere quella del divorzio. Nonostante abbiano deciso insieme di non consultare avvocati, Nicole assume Nora Fanshaw (Laura Dern) e consiglia al marito di fare lo stesso. Charlie si rivolge a Bert Spitz (Alan Alda), un avvocato dai modi gentili che nei casi di divorzio consiglia sempre di prendere la decisione più giusta per non far soffrire i figli. Ma di fronte ai modi spregiudicati e aggressivi del legale della moglie, l’uomo dirotta verso Jay Marotta (Ray Liotta), una specie di squalo che fa del dinamismo la sua parola d’ordine. I due avvocati si danno battaglia in tribunale, vestendo la storia matrimoniale dei loro clienti di una luce molto più fosca del dovuto. Una cosa che a Charlie e Nicole pare inutilmente esagerata, oltre che irrispettosa rispetto alle loro reali intenzioni. Anche perché l’amore reciproco esiste ancora. È solo che non può più coniugarsi bene con il corso intrapreso delle loro vite.

 

Scarlett Johansson, Adam Driver

Storia di un matrimonio (2019): Scarlett Johansson, Adam Driver

 

Marriage Story” di Noah Baumbach è un film bello ed intrigante, che gioca di sponda con la finzione scenica praticata da suoi rappresentanti tipo per rappresentare in maniera verosimile la complessità di sentimenti in stato di sfratto. Il regista statunitense si conferma un autore molto interessante, capace di giungere ad una felice armonia tra la puntuale delineazione di ogni fase di scrittura e delle più snelle scelte di regia. Insomma, sempre incline ad avvolgere i suoi film in venature da “cinema indie” pur strizzando l’occhio ai tempi e ai modi del più tipico prodotto hollywoodiano. Con “Marriage Story” giunge, probabilmente, alla sua opera (al momento) più matura (anche se io conservo una particolare predilezione per “Frances-Ha”), riuscendo a coniugare bene solidità narrativa e licenze di scrittura, riflessioni serie sulla contraddittorietà del sentimento amoroso e leggerezza del tocco. La storia è come un fiume in piena che gradualmente accresce il livello dell’acqua, Charlie e Nicole vi ci immergono con inconsapevole leggerezza, non sapendo entrambi, né dove li condurrà la corrente, né tantomeno in cosa si trasformerà il loro matrimonio.

Ciò che colpisce di “Marriage Story” e il suo fare perno su una pratica di divorzio nel mentre ci fa vedere l’esplosione di quei sentimenti che caratterizzano il matrimonio in frantumi di Charlie e Nicole. Sentimenti che oscillano tra il tenero amore che ancora arriva a invadere gli occhi dei due e l’acrimonia furiosa che porta l’uomo e la donna a rinfacciarsi anche cose che non pensano l’uno dell’altra. A rimanere fuori campo sono i dissidi profondi che hanno portato quella che sembrava una coppia perfetta ad intraprendere la strada del divorzio, e Noah Baumbach è talmente bravo a dare una concreta forma narrativa al non visto da indurre chi guarda a chiedersi come mai Charlie e Nicole abbiano deciso di separarsi. Perché è evidente che i due sono legati da un affetto così forte che il ricordo della bella storia trascorsa insieme non potrà mai dissolversi del tutto. Come è evidente che le brutte parole che si rimbalzano vicendevolmente nascono, più dalla consapevolezza di aver intrapreso una strada senza ritorno, che dalla convinzione di volersi fare veramente del male. La risposta risiede forse nel loro essere dei membri attivi della “laboriosa” borghesia intellettuale, un mondo dove è molto facile scoprirsi molto gelosi del buono andamento della propria carriera professionale, dove scoprire di vivere all’ombra del proprio sodale può rappresentare un pericolo da scongiurare in ogni modo, anche a costo di sacrificare qualcosa di veramente importante. L’atteggiamento oppositivo di Charlie e Nicole è quanto di più onesto hanno entrambi a disposizione per mitigare il sopraggiungere dei rispettivi egoismi. Il loro amore non è morto, ma è messo in riga da carriere che non si possono sacrificare e da uno spirito competitivo che non può fare a meno di emergere in tutte le sue enigmatiche fattezze. Charlie deve salvaguardare l’integrità del suo straordinario talento e vorrebbe una complicità passiva per farlo germogliare in tutta la sua interezza. Nicole, invece, vuole iniziare a camminare da sola e per farlo deve affrancarsi dalla presenza ingombrante del marito. Insieme, rischiano di autolimitarsi a vicenda. Stando lontani, scoprono che le loro carriere non bastano da sole a riempire i vuoti lasciati dall’amore.

I momenti drammatici esistono, soprattutto quando i due si sputano in faccia accuse violentissime. Ma il tono grave non prende mai il sopravvento, anzi. Noah Baumbach è abile ad alternare continuamente i momenti ironici con quelli riflessivi, la forza dei coniugi di prendere decisioni forti con la loro aperta fragilità. Il gioco di specchi con cui ognuno di loro guarda alla propria posizione attraverso le mancate concessioni dell’altro, con l’aperta commozione che si ricava dall’adesione emotiva con i loro sentimenti contrastanti. La prova tangibile di tutto questo è dato dai momenti processuali, quando si inscena una sorta di farsa tragicomica dove si mettono in circolo la verità di un matrimonio compromesso e la falsità delle parole usate per dimostrarlo. Charlie e Nicole rimangono schiacciati ben oltre le loro intenzioni di amanti al collasso dalle forbite perorazioni dei rispettivi avvocati. Nel mezzo c’è il piccolo Henry, oggetto inconsapevole di una contesa che si vorrebbe concludere lasciando intatto il tanto bene che ancora esiste.

Si sente spesso dire che Noah Baumbach sia uno dei migliori epigoni di John Cassavetes. La cosa ci può stare se si guarda all’alone di libertà registica che aleggia lungo la cinematografia di Baumbach. O al modo in cui sembra guardare al “maestro” quando orbita insistentemente negli ambienti della borghesia cittadina per analizzarne i sentimenti in stato di sfratto. Molto meno se si considera che Noah Baumbach è più un regista di scrittura rispetto a Cassavetes il quale, da ottimo esecutore in terra americana della lezione della Nouvelle Vague, è stato essenzialmente un autore di regia. Inoltre, John Cassavetes usava i suoi caratteri borghesi come un’arma politica da scagliare contro una società che non gli piaceva. Noah Baumbach, invece, tende più alla descrizione certosina dei caratteri e degli ambienti, senza però insistere troppo su eventuali implicazioni prescrittive. Come succede in “Marriage Story”, un grande film di un autore ormai importante. Mi sento, infine, di sottolineare la grande prova d’attore di Adam Driver, che cresce di spessore attoriale film dopo film. Ormai un prediletto.   

         

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