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The Prince

Regia di Sebastian Muñoz vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Prince

di Spaggy
7 stelle

Nel Cile degli anni Settanta il giovanissimo Jaime finisce in cella. Ha sgozzato un giovane con il collo di una bottiglia di birra. Le ragioni per cui lo ha fatto non ci vengono presto dette ma verranno ricostruite dallo stesso ragazzo in un flusso di ricordi e racconti all’interno del carcere. Rinchiuso in una stanza con altri quattro uomini, scopre che il carcere è il regno in cui gli istinti sessuali e le lotte di potere vanno di pari passo. Sin da subito, per via dell’eleganza del suo volto e dei suoi modi, si guadagna il soprannome di “Principe” e le attenzioni, morbose e peccaminose, di El Potro, abbastanza maturo e rispettato all’interno del penitenziario.

Juan Carlos Maldonado

The Prince (2019): Juan Carlos Maldonado

 

El Potro è solito approfittare dei suoi giovani compagni di letto (nelle celle si dorme in coppia in letti a castello a una piazza) trasformandoli nell’avatar di una possibile mogliettina, pronta ad accudirne voglie e bisogni. Già dalla prima notte, il Principe viene sodomizzato e prende il posto, non senza gelosie, di un altro giovanotto la cui invidia è palese dal primo istante. Concedersi, volenti o no, a El Potro significa avere garanzie e trattamenti di riguardo dagli altri detenuti. Un po’ meno dalle guardie carcerarie, che vivono ai margini del sistema e spesso fungono solo da silenziosi testimoni. In tutto ciò che avviene paradossalmente non c’è l’ombra dello squallore o della morbosità: la telecamera, pur mostrando oscenità, nudi frontali e gesti inequivocabili, non indugia nel particolare e con normalità restituisce i fatti, come se mostrasse una nuotata in mare o una corsa per i campi. È difficile definire i rapporti sessuali maschili come indice di un’omosessualità latente: sono semmai il frutto di una condizione restrittiva in cui gli istinti più basilari trovano appagamento senza troppi se o ma. El Potro, ad esempio, racconta di avere avuto una moglie e una donna che ancora lo aspetta mentre il Principe delizia i compagni con le sue prime esperienze amorose con una attempata e benestante signora di città. Di fronte a un’infanzia difficile, a una madre morta in tenera età e a un padre impegnato in seconde nozze con una matrigna tutt’altro che benevola, il Principe aveva trovato nella donna un surrogato di attenzioni che gli mancavano, le stesse attenzioni che in seguito ricercava nel ben tenebroso (e intuibilmente fluido) Gitano. Come si evince, quasi nessuno dei personaggi di El principe ha un nome di battesimo: la sceneggiatura, che traspone un romanzo di Mario Cruz, rimane fedele a quanto si dice in una delle primissime scene, secondo cui nella vita più che un nome occorre avere un soprannome che evidenzi la tua peculiarità.

Gli affetti mancati, dunque, muovono i passi del Principe ma anche dei suoi compagni di cella, vecchi o nuovi che siano. Affetti spesso evidenziati dal legame con un gatto che si aggira tra le sbarre e appagate con un’eiaculazione ora furtiva ora ricattatoria. Il sesso non è altro che un mezzo per esprimere sia potere sia amore. Con una parola sola, il sesso è che la manifestazione del possesso: il Principe diventa roba del Potro e come tale non va rubata. Attraverso il giovane, El Potro trova quel calore che gli manca mentre il Principe ha quel padre che lo ha sempre rifiutato e che non ha provveduto ai suoi bisogni. La violenza del primo rapporto anale si trasforma lentamente in dolcezza e tenerezza, gli sguardi si fanno portatori di mille non detti, i baci, dapprima assenti, diventano passionali e travolgenti e i ruoli, passivo e attivo, si capovolgono. Il punto di rottura arriva con la figura di Che Pibe, un cileno o forse argentino (si gioca molto sulla seconda nazionalità come offesa e sulle differenze culturali tra le due attigue nazioni) che con il suo charme conquista i più giovani e vorrebbe portare tra le sue lenzuola il Principe. Possedere il Principe (così come possedere il gatto) significa prendere il potere e dettare legge tra i detenuti: non occorre molto prima che un clima di guerra prenda il sopravvento fino a un inevitabile duello amoroso all’ultimo sangue.

Nello scorrere verso il finale, l’esordiente regista Sebastian Muñoz – che non teme il corpo maschile e lo mostra in tutta la sua fulgidità o decadenza - svela anche cosa ha portato Jaime in carcere: il non possedere le attenzioni esclusive del Gitano, quel giovane per cui provava attrazione e con cui poteva essere se stesso senza troppe maschere. In un’epoca in cui l’omosessualità non poteva essere manifesta o dichiarata per via di un retaggio cattolico fin troppo presente, Jaime aveva sulle spalle il peso di un amore non realizzato. Forse ragazzo di strada forse semplice manipolatore, il Gitano era agli occhi del Principe tutto ciò che avrebbe voluto essere ma le loro due vanità non troveranno mai un punto di incontro. Evanescente l’uno, represso l’altro, non avranno mai modo di incontrarsi carnalmente (se non in maniera metaforica con una masturbazione del principe nello stesso luogo in cui il Gitano aveva goduto di un amplesso con una ragazza). Ed è nel desiderio e nel suo (mancato) appagamento che il Principe trova la sua libertà e contemporaneamente la sua prigionia.

 

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