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Sarkar

Regia di Ram Gopal Varma vedi scheda film

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La recensione su Sarkar

di Stefano L
8 stelle

SARKAR (2005) – AMBAR CHATTERJEE'S REVIEWS

 

Tentare di toccare e rielaborare un classico come “Il Padrino”, realizzando una pellicola che abbia una caratterizzazione propria non è esattamente un compito confacente per chiunque. Eppure il regista Ram Gopal Varma sembra sia riuscito nell’impresa. “Sarkar” infatti non è assolutamente una “cattiva imitazione” dell’opera omnia di Coppola, bensì una rivisitazione del concept in versione indiana che risulta impressionante nel montaggio e nella direzione. Seguendo a grandi linee la struttura narrativa dell’archetipo, viene raccontata la tribolata vicenda del boss Subhash Nagre (Amitabh Bachchan), conosciuto dalla sua comunità come, appunto, “Sarkar”. Subhash controlla incontrastato il territorio di Mumbai, ed è rispettato e apprezzato dai cittadini della capitale. Quando un gangster ex socio (Kota Srinivasa Rao), assieme al giovane seguace di Dubai Rashid (Zakir Hussain), cerca di concludere un affare riguardante il traffico di droga, Nagre respinge l'accordo. I suoi nemici, spalleggiati dalla polizia corrotta, faranno quindi di tutto per incastrarlo, incolpandolo dell’omicidio di un retto leader politico, nonché del suo schietto critico Motilal Khurana (Anupam Kher). Spetterà al figlio emigrato in America Shankar (Abhishek Bachchan) tirarlo fuori dai guai, prendendo provvisoriamente la posizione del padre. Il celebre attore di Bollywood Bachchan mostra un magnetismo sorprendente, fomentando un’alchimia suadente con l’erede (anche nella vita reale) Abhishek; ammirevole la progressiva metamorfosi relativa a quest’ultimo, il quale da rampollo dell’informatica si trasforma in un temibile sostituto del capofamiglia. Il resto dei torbidi personaggi esibisce con destrezza una vasta gamma di irruenti performance, sebbene qualche secondario garrisca un po’ troppo. Massiccia la presenza sullo schermo del villain di Hussain, la cui intensità recitativa soggioga quella degli altri antagonisti. Gopal Varma intanto agisce sulla materia filmica focalizzando le riprese sui volti dei membri del cast (spesso riducendo i dialoghi all’osso), instillando una carica espressiva ragguardevole dal registro drammatico e imprimendo convincentemente luci, colori e toni, senza lesinare un ritmo sostenuto, in cui oltretutto si alternano fulgidi minuti d’azione al cardiopalma. Ad incrementare il pathos interviene una colonna sonora ossessiva (quantunque non invadente), la quale trasmette il brivido dei frangenti salienti innestandosi adeguatamente nello sfondo della fosca ambientazione. Grazie al perfetto dinamismo tra gli elementi della stesura e un’artigianalità stimabile, Varma, invece di mirare all’ottundimento e lo stemperamento della fonte di provenienza puntando l’attrattiva su un citazionismo (che comunque non manca) sfiancante, plasma un rimaneggiamento di “The Godfather” apocrifo e indirizzato al vasto pubblico, ma dotato di quell’impronta identificativa necessaria da consentirgli di essere degno d’attenzione, spingendo di conseguenza l’interesse verso il sequel.

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