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Dune

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Dune

di Barone Cefalu
4 stelle

Pessimo adattamento di Denis “(ma hai visto Polytechnique?)” Villeneuve del romanzo fantascientifico di Frank Herbert, ma che non nasconde di attingere a soluzioni visive dalla versione di Lynch, a sua volta ereditate dall'oramai famoso storyboard di Jodorowsky.

 

 

La storia cinematografica dietro il romanzo Dune è davvero singolare ed interessante, in quanto è nata negli anni '70 grazie alle suggestioni creative del regista cileno naturalizzato francese, Alejandro Jodorowsky.

Già in quegli anni Jodorowsky godeva di grande successo e visibilità internazionali, soprattutto grazie ai bellissimi El Topo e La montagna sacra. Questo gli permise di avere carta bianca e poter realizzare qualsiasi progetto a sua scelta; scelta che ricadde sul testo di Herbert.

 

Jodorowsky era affascinato dal contesto mistico della storia ma anche dall’utilizzo della Spezia, vera e propria droga dagli immensi poteri, che secondo lui poteva aver successo in un periodo in cui l’LSD era di gran moda.

 

Il regista decise di metter su un comparto tecnico e creativo impressionante, un gruppo di artisti, molti dei quali già nel pieno della fama, al fine di realizzare quello che sarebbe dovuto essere secondo lui il più grande film di fantascienza della storia.

Il team artistico vantava nomi del calibro di Moebius, Foss, Giger, e per le musiche Pink Floyd e Magma. Tra gli attori Salvador Dalì, Orson Welles, Mike Jagger. Fu creato un dettagliatissimo storyboard in più copie e consegnato ai produttori dei più grandi studi cinematografici, ma che si tirarono indietro rispetto ad un lavoro così ambizioso, costoso ed in realtà anche così poco americano.?

Lo storyboard venne in parte assimilato e smembrato da altri registi, e lo stesso dream team artistico creò alcune scene o intere ambientazioni di capolavori come Alien e Prometheus (Giger), Star Wars (scene di combattimento ideate da Moebius) e numerose altre opere. Il film Dune invece fu realizzato da Lynch che si trovò così a sostituire Jodorowsky, mentre gran parte dell'idea iniziale e il cast vennero scartati per dar luce ad un film diverso, ma sempre particolare.

 

 Il Dune di Lynch è un film che continua ad ispirare sentimenti opposti, ma sicuramente non si può negare che abbia un suo carattere, onirico e avanguardista, un sogno racchiuso da scenografie neogotiche e moderniste, di architetture organiche alla Gaudì, di atmosfere steampunk unite a inevitabili influssi di un cinema fantascientifico di serie B. Ma, soprattutto, un cast secondo me davvero notevole e riuscito, che ha saputo dar anima e nobiltà ai vari personaggi.

 

Questo mi serve come veloce premessa per descrivere il nuovo adattamento di Dune da parte di Denis “(ma hai visto Polytechnique?)” Villeneuve.

L'inizio del nuovo film è affascinante. Difficile rimanere insensibili ad un tale utilizzo della fotografia, ogni scena un vero e proprio quadro evocativo, ed effetti speciali così eleganti e allo stesso tempo meno gridati rispetto ai vari giocattoloni Disneyani o Marveliani. C’è una forte ricerca del fotorealismo, secondo me riuscita, ma anche i costumi sono davvero belli anche se hanno qualcosa di déjà vu. Sicuramente il comparto artistico e tecnico del film farà incetta di premi e statuette.

 

Ma i problemi, gravi, del film risiedono altrove. Non si può affiancare a tale struttura visiva un cast di attori così mal riuscito, così mal diretti e spaesati. Timothée Chamalet e Oscar Isaac hanno perennemente questo sguardo da cani bastonati che se funziona in alcuni film (Chiamami col tuo nome e Inside Llewyn Davis), in Dune sembrano, lasciatemelo dire, due fessi di passaggio che hanno indossato un’uniforme per poter giocare a fare i rappresentanti di una delle casate più potenti dell’Universo. Rebecca Ferguson (Lady Jessica) ha lo stesso sguardo monocorde e piatto dal primo minuto all’ultimo del film. I suoi occhi tradiscono spaesamento e mancanza di direzione, assenza di carisma che invece Francesca Anni, nel film di Lynch, trasudava da tutti i pori in ogni inquadratura.

L’aspetto onirico che pervade il film di Lynch è sostituito da quadri rallentati che sembrano più la pubblicità di qualche profumo con protagonisti due modelli imberbi (Paul Atreides e Chani, la Fremen). Sorvolo sugli altri attori, che spesso sono chiamati a fare visite fugaci, com’è ormai di moda quando un film prevede già dei seguiti concordati a tavolino.

 

Ciò che è totalmente assente nel Dune di Villeneuve è un’anima, un aspetto mistico o spirituale, qualsiasi segno di trascendenza. Paul ed il suo cammino verso colui che sarà un Salvatore per i Fremen ed Arrakis, è stato sacrificato ad un tipo di maturazione già vista in Skywalker nella ricerca della Forza, o Keanu Reeves in Matrix. Ma è un cammino inutile, in quanto l’attore e chi lo accompagna hanno lo stesso sguardo assente fino all’ultimo minuto del film. Non si nota alcun cambiamento, alcuna evoluzione.

 

Oltre alla pessima scelta del cast, è giusto anche evidenziare come la sceneggiatura sia lacunosa e banale, ed a volte, soprattutto nella seconda parte del film, ci sono delle ripetizioni preoccupanti, segno di problemi nel montaggio che non mi sarei mai aspettato in una produzione del genere. Sempre nella seconda parte ci sono delle voragini narrative atte ad allungare il brodo per rimandare a seguiti già programmati.

 

Insomma, senza volermi dilungare, riconosco che il nuovo Dune sia un prodotto soprattutto commerciale dove la scelta da parte dei produttori è ricaduta su di un regista e degli attori alla moda per assicurarsi le sale piene di un certo pubblico (Chamalet, Zendaya e Momoa tra i teenagers, Isaac e compagnia bella per il pubblico di mezz’età) e quindi pensato prima di tutto in relazione ad un preciso e quantificato ritorno economico. Il cinema come investimento in Borsa.

 

Villeneuve "(ma hai visto Polytechnique?)" si conferma uno dei registi più sopravvalutati della sua generazione che si ritrova, per sua grande fortuna, a riempire un vuoto nell’industria con un linguaggio visivo certamente elegante, come del resto lo era il seguito di Blade Runner, ma lacunoso nella direzione e nella sceneggiatura. E non è dir poco.

 

PS. No, non ho visto Polytechnique, forse l’unico che non ho ancora visto del regista canadese, ma anche se fosse il suo Quarto Potere, non me la sentirei di salvare tutto il resto della sua filmografia

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