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Il traditore

Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film

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La recensione su Il traditore

di lamettrie
8 stelle

Un bel film sulla mafia, originale. Perché la racconta dal didentro. Non che le biografie su mafiosi manchino nel nostro cinema. Ma nessuna, almeno in grande stile, su di un pentito. E quale pentito: il più importante. Nell’attesa che ogni mafioso diventi pentito: il che sarebbe l’unico esito giusto della loro vita. Che avrebbe un bilancio negativo, comunque: ma meglio tardi che mai. Perciò un’opera come questa mantiene il suo altissimo valore politico e civile: nel mostrare che anche le peggiori associazioni criminali (e qui in Italia purtroppo abbiamo il fior di fiore di tali peggiori associazioni criminali: perciò questo ci interessa assolutamente) possono essere messe in crisi, potenzialmente fino alla loro indispensabile estinzione, prima possibile.

Falcone indicò come solo il pentitismo,quello ben gestito, poteva scardinare dall’interno tutta quella tradizione di antistatalità, antisocialità e illegalità nel Sud, che aveva origine secolari guelfe, e persino prima. Si parla di istituzioni che in modo nascosto mantengono pressoché tutto il potere in loco, senza resistenza da parte dello stato. Se non da parte di pochi magistrati, lasciati però isolati dallo stato stesso, come Falcone. Perciò quest’impresa di Bellocchio mantiene una grande attualità, anche sul piano pedagogico. Non dà giudizi morali, se non la condanna del ricco e vincente movimento mafioso, e ci mancherebbe. Ma coglie nel segno nella misura in cui fa capire che a nessun livello è possibile vivere bene in quelle condizioni: quelle pur ricche e vincenti dei capomafia. La tristezza e l’orrore morale non possono che rendere invivibile un’esistenza; inoltre l’esecuzione costante di reati non può che creare, anche fra gli stessi criminali, una fitta rete di nemici, ugualmente criminali anch’essi, appunto: ciò rende la vita ingrata, amara, piena di sospetti, minacce e terrori.

Proprio l’aspetto educativo, morale e psicologico mostra qui come la mafia abbia in sé la ragione della propria autodistruzione. Perché ciò non è ancora avvenuto? Proprio per una mancanza di educazione all’altezza, che può partire solo dallo stato, innanzitutto, per poi essere compito di tutti coloro i quali sono stati ben educati, appunto. Il che non è scontato, ma statisticamente avviene.

Infatti Bellocchio (che ha scritto anche la sceneggiatura, facendosi aiutare) non mostra certo Buscetta come un eroe. Costui si sente ancora orgogliosamente parte di Cosa nostra. Non vuole ammettere fiumi di crimini che ha commesso, contribuendo alla morte e alla distruzione di molti col traffico di eroina in grandissima scala. Farnetica, pontificando di alti valori della mafia, che difende la povera gente (il che non è del tutto assurdo, per quanto falso e inaccettabile nel complesso). Viene sbugiardato da un avvocato della difesa su certi particolari. Confessa certe cose, ma solo per vendicare torti fatti a suoi parenti stretti, che nulla meritavano di ciò: non confessa invece per i soli motivi validi di ciò, cioè per pagare per i propri errori. Ma almeno ha dato la chiave di volta per scoperchiare gran parte dell’apparato criminale cui apparteneva: la vendetta dello sconfitto. Muoia Sansone con tutti i filistei. Non c’è un gran merito: ma meglio di niente. E quel poco è stato un vantaggio enorme per la maggioranza degli onesti, come si legge dai sottotitoli.

Il film è un po’ troppo lungo: 2 ore e un quarto. Segue un po’ la recente tendenza di fare film sin troppo puliti sula criminalità: tendenza un po’ televisiva, ma non solo, piena di ralenti, di luce, di rarefazione in generale. Manca un po’ di quel sudicio realismo che può attagliarsi meglio a tali oggetti, facendoli cogliere meglio. Conosco solo la minoranza dei film di Bellocchio, ammetto: ma “Sbatti il mostro in prima pagina”, girato 50 anni fa, per esempio, aveva una vivacità e un realismo più convincenti. Un po’ troppo appiattito sulla fotografia e il ritratto, tale didascalismo vuole dare un’impressione di profondità eccessiva in certi personaggi, da essere quasi surreale e perciò poco credibile, alla Sorrentino (con tutto il rispetto che quest’ultimo merita, ovviamente). Certo, la bestialità dei mafiosi nelle gabbie è presente, come in altri casi: è uno dei pregi della pellicola.

Detto dei tempi morti, il film si avvale di un ottimo cast (interprete di Falcone a parte, ovvero Alesi, troppo semplicistico), ben diretto. Lo Cascio è una garanzia. Favino si cala in modo straordinario in una parte difficilissima.

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