Regia di Todd Phillips vedi scheda film
Clown precario messo ai margini pure dai suoi colleghi, Arthur Fleck farà in fretta a esternare la frustrazione in furia omicida. È l’alba del Joker!
Sarebbe stata un’opera da ricordare per anni se…
Joker è due cose. Un’occasione – un po’ persa per strada – di creare un grande dramma psicologico e una prova attoriale da archiviare negli annali. Dramma psicologico perché ciò che mi ha fatto percepire tutta la prima parte del film è la descrizione quanto più vivida e verosimile dell’inesorabile caduta nel tunnel della depressione. Non è solo la (titanica) interpretazione di Phoenix, ma anche il modo in cui gli eventi che il protagonista subisce vengono a sommarsi in un climax inarrestabile di frustrazione. La sparatoria nella metro ha un ché di catartico. Quasi si fa il tifo per Arthur per il fardello di cui si è liberato.
Dopodiché, lentamente, è come se tutto si affievolisse. Vuoi perché alcune trovate coreografiche sembrano un po’ forzate, compiaciute. Vuoi per il superfluo collegamento alla famiglia Wayne.
Il (primo) finale riporta la tensione alle stelle e il film sembra chiudere col botto, lasciando il pubblico sospeso nell’incredulità dell’atto.
Ma il secondo e definitivo finale, di nuovo a collegare le vicende a Gotham City, forza la mano sul citazionismo e annienta quell’angosciante senso di sospensione di poco prima.
Comunque, un Joaquin Phoenix così in parte obbliga alla visione.
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