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C'era una volta a... Hollywood

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su C'era una volta a... Hollywood

di lolly75
8 stelle

Quentin Tarantino.
QUENTIN TARANTINO.
Insieme a P.T. ANDERSON il più grande narratore americano della nostra storia filmica recente.
Scrive, dirige, cita, si autocita, incensa, s'incensa, trasforma, si trasforma, trasfigura, si trasfigura. Fa sempre lo stesso film, rifacendolo. Marchia con il suo inconfondibile tocco, reinventandolo. I critici più miopi aspettano un suo tonfo, i fan lo adorano, gli spettatori lo premiano, i cinefili lo difendono.
Il motivo di tanto interesse si vede in ogni sua opera proiettata sul grande schermo, in ogni canzone suonata dalle casse incassate in sala, in ogni dialogo pronunciato dai "suoi" attori. Come per i grandi maestri del passato Tarantino ama i suoi protagonisti coccolandoli in lunghi primi, medi piani quasi onirici; loro lo ripagano con performance sempre al di sopra della loro calatura, dimostrandogli affetto e riconoscenza.
Di Caprio e Pitt si presentano ai nostri occhi come i divi che da tempo conosciamo per scivolare lentamente nei loro personaggi, nelle loro ossessioni, nel loro personale viale del tramonto. Ambientato in un' epoca spensierata e profilica del cinema di Hollywood il regista sceglie il mondo del filone dei cosiddetti film di serie B per travolgerci amorevolmente con la sua passione in merito. Tra titoli veri, presunti, o reinventati la citazione perennemente latente degli spaghetti-western nazionalpopolari adorati dal nostro.
Difficile non notare che nell'episodio centrale del film, ove Di Caprio cammuffato in modo alquanto ironico somigli molto al Franco Nero di Django...
Ma questi al solito per gli scrupolosi spettatori sono giochi(ni) di specchi (per le allodole?!) che impreziosiscono il quadro d'insieme.
Stimoli ed imput disseminati in tutte le sue opere così dannatamente generose da divenire a volte elefantiache per brevi momenti.
Ma dopo l'ultimo western lento e gore qui troviamo leggerezza e scanzonata volontà di omaggiare ancora una volta, più che un genere, un periodo.
Per affinità puramente emotive in qualche modo mi ricorda l'amorevole atto di risarcimento verso un filone, incarnato dalla chimera Pam Grier, in quel piccolo capolavoro di "Jackie Brown". Non a caso venuto dopo la pioggia di premi, riconoscimenti, adulazioni per Pulp Fiction. Il nostro sa decellerare ma soprattutto piega con volere e potere commerciale la sua autorialità al pubblico senza rendere conto, o minimamente, ai suoi finanziatori.
Caso più unico che raro a Hollywood. Caso chiuso. Lunga vita a Quentin.
In tutto questo andirivieni da set confusi, case sfarzose, alcool invitante tra sedani e carote, c'è spazio per la Storia. Come in Bastardi ed in Django il mastro dirimpettaio deicide di affiancare il racconto di quegli anni con la tragedia protagonista la Tate, Polanski e la setta di Manson. Al solito lo fa a modo suo piegando le correnti narrative in salsa pop, pulp, porn ad una trasfigurazione oscena della realtà, accettabile unicamente per la potenza fascinosa di una costante messa in scena continua, finta, paradossale, enfatica, ma così dannatamente funzionale. Un romanzo esplosivo. Una parabola discendente con lieto fine. Un' ennesima riscrittura di una storia, non la Storia, con un' elegante escamotage, con la geniale riscrittura tarantiniana di un possibile finale alternativo. Un omaggio delicato, sentito, generoso a un mondo esploso nella notte dell'efferato omicidio di Sharon Tate e del bimbo in grembo che Tarantino da grande affabulatore sa essere spartiacque tra un C'era una volta e dopo.
Sinceramente, ancora una volta, non comprendo come si possa richiedere di più ad un'opera di tal genere, ad una filmografia particolare, unica, appassionata quale quella di questo immenso regista, narratore.
Plasmare storie è cosa da professionisti.
Reinventare storie è cosa da studiosi.
Integrare storie con fiction è cosa da artisti.
Mettere d'accordo pubblico e critica è cosa da acrobati.
Riuscire ad essere sè stessi trasmutando è cosa da trapezisti.
QUENTIN TARANTINO è un passionario e un ricercatore che ama il Cinema, lo onora, lo plasma e ce lo vomita in ogni sua opera in una cottura diversa, più o meno misurata, ma sempre attenta a non essere indigesta.
E quando lo è a tratti lo si scusa per la sua immensa generosità.
Lunga vita al Re.
Lunga vita ad un cinema che si racconta senza logiche commerciali, senza confini, senza paura.
Tate/Robbie coricata al cinema che rivede sè stessa sullo schermo con primo piani dei piedi annessi è l'essenza della firma del regista come i dialoghi a volte prolissi in situazioni specifiche e poco avvezze al pubblico pagante ma su queste ricamature autoriali il trave portante è altro.
E' il Cinema.
L'amore per lo schermo, per la narrazione, per l'arte di saper coinvolgere.
Mettiamo questa arte da parte come la sigaretta senza filtro imbevuta d'acido.
Un giorno, non lontano credo, apriremo lo scrigno dei ricordi ed in mezzo ad altre riconoscendola, fumandola con lunghi boccate, ci abbandoneremo
al suo effimero gusto, alla sua transitoria essenza.
Può essere ci salvi la vita come con Cliff... Ma meglio imparare anche a schioccare il palato e nel contempo saziare la fame di un mastino dei migliori.
Come in "Vizio di forma" di Anderson con uno straordinario Phoenix gli hippies ci salveranno o ci condanneranno. Come il Drugo dei Coehn.Come Manson e la sua setta. Come miriadi di personaggi prima e dopo.
Lunga vita ai narratori!
Once upon a time...

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