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Il circo

Regia di Charles Chaplin vedi scheda film

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La recensione su Il circo

di PompiereFI
10 stelle

Charlot si aggira nei dintorni di un circo, e come al solito è affamato e senza un soldo. Siamo all’inizio (brillantissimo) di uno dei film di Chaplin meno conosciuti e celebrati. “Il circo” ha un attacco memorabile durante il quale sciorina una serie di gag impagabili: l’orologio e il portafogli rubati, ritrovati per caso nelle tasche del malcapitato omino, danno il là ad una serie di inseguimenti divertentissimi, tra panini “aspirati” a bambini altruisti, labirinti di specchi e altre attrazioni fieristiche. Fino ad approdare alla pista circense, dove la caccia vera dei poliziotti si trasforma in intrattenimento puro per un pubblico annoiato dagli usuali sketch dei clown. Nel suo far ridere involontariamente la folla, Charlot svela cosa si nasconde dietro l’intrattenimento: numeri preparati troppo a tavolino per giungere spontanei, e trucchi magici impossibili rivelati attraverso un semplice bottone premuto. Non fa in tempo a spolverare alcuni pesci con uno straccio, che già si ritrova ancora una volta inseguito, ora dal direttore e poi da un mulo particolarmente ostinato.


In questa fuga costante da tutto e tutti Chaplin, dopo il capitalismo de “La febbre dell’oro” letto come sistema sociale irreversibile, sposta il suo obiettivo, e si uniforma al Potere come rilevanza suprema, al quale contrappone l’indipendenza schietta del vagabondo col bastone sempre un po’ storto. Seppur apparentemente frammentato, attraverso una successione di comiche che sembrano slegate tra di loro, “The circus” gode di un congegno incontrollato che abbina alle gag iniziali al Luna Park quelle circensi, con tanto di leoni e tigri mezze addormentate e addomesticate, cani che ringhiano nei momenti meno opportuni, scimmie che aggiungono angoscia a un momento già di per se’ opprimente. L’arena gitana diventa così un simbolo stabile degli USA: un mondo incoerente, governato dalle contraddizioni e dalla brutalità, nel quale Chaplin azzarda malizioso una sostituzione di una (Grande) Mela in una banana. Animali/Umani e Umani/Animali si diceva, intercambiabili nella loro conforme crudeltà, buoni solo a sbriciolare le stelle dei sipari. 

Il personaggio del direttore del circo non può essere che un cinico calcolatore: accoglie Charlot solo perché il suo spettacolo è in crisi, lo sfrutta pagandolo come un semplice inserviente quando invece è la star di maggiore attrattiva, e se ne frega del suo destino quando corre il rischio al posto dell’esperto equilibrista Rex. Inoltre umilia la figlia cavallerizza di fronte all’intero gruppo di artisti, impedendogli di mangiare. Le affinità di Charlot con Merna, la figlia del direttore, appaiono subito evidenti: ambedue esclusi e rifiutati per ciò che (non) sono, si ritrovano a dividere avidamente una colazione facendosi venire il singhiozzo. Un approccio che sembrerebbe portare il film sul classico coinvolgimento amoroso. Questa volta, però, le conseguenze saranno a loro modo imprevedibili.

Solo, all’interno del grande cerchio tracciato dal telone del circo, Chaplin, dopo aver “fatto omaggio” dell’Amore si esibisce per se’ stesso. Perchè non ci si innamora di una maschera triste, di un buffone stipendiato male, di un povero. La regola (tendenzialmente statunitense in questo caso, ma universale) vuole che gli affetti siano indirizzati alle classi danarose le quali, funamboli sul filo sottile sotto il tendone di un circo, ben rappresentano l’Autorità. E l’artificio che così si crea accentua l’egoismo e la solitudine, da ambo le parti. La classe sociale privilegiata non è interessata al destino degli indigenti, e questi non si mischiano, razionalmente e carnalmente, agli altri, preferendo un’ipotetica rovina personale: un apparente rifiuto a vivere che potrebbe anche essere letto come un affrancamento (borioso e arrogante?) per riuscire a sopravvivere. Questo agire fa de “Il circo” uno dei film chapliniani più ragionati, estremi e nebulosi; come se alla fine l’intelletto avesse prevalso sui sentimenti.

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