La recensione su Vita da cani

'Vita da cani' racconta le peripezie tragicomiche di una scalcagnata compagnia d'avanspettacolo itinerante, diretta dal capocomico Nino Martoni (Aldo Fabrizi) che - in giro per un'Italia che sta ancora curando le ferite dopo alcuni anni dalla fine del secondo conflitto mondiale - si arrabatta tra spettacoli improvvisati, scarsità di mezzi e denaro a disposizione.

Il film, seppur firmato dal duo Monicelli - Steno, è - in base alle dichiarazioni dell'autore de 'I soliti ignoti' - girato dal primo ma è il frutto di un lavoro di equipe, ossia dei due registi per il soggetto e la sceneggiatura, alla quale hanno collaborato Sergio Amidei, Ruggero Maccari, Fulvio Palmieri, Aldo Fabrizi e Antonio Nino Novarese e si avvale  dei preziosi contributi di Mario Bava per la fotografia in b/n e di Nino Rota per le musiche.

Un Monicelli particolarmente ispirato in cabina di regia riesce a dosare con perfetto equilibrio le parentesi comiche, drammatiche e persino tragiche che si alternano nel corso della durata della pellicola, passando da un frangente all'altro senza che compatezza e senso del ritmo ne risentano minimamente.

'Vita da cani' narra tanto le vicissitudini che avvengono per i membri della compagnia da una tappa a quella successiva, quanto gli imprevisti del 'dietro le quinte' durante ciascun allestimento teatrale ma anche la reazione di chi lo spettacolo lo fruisce, il pubblico della cosiddetta Italia di provincia, fatto in gran parte di gente semplice, interessata a trascorrere una serata spensierata, assistendo a qualche siparietto comico e, soprattutto, balli con coreografie poco elaborate ma con belle ragazze in mostra.

Il film offre un ritratto dolceamaro di un mondo nonché di un paese che tenta, in tutti i modi possibili, di risalire la china: c'è chi, come il capocomico, con una sublime 'arte di arrangiarsi', fatta di trucchetti per tentare di ingraziarsi l'attore, la ballerina o il potenziale pubblico o per sviare di pagare i conti, oppure come Margherita (Gina Lollobrigida) che, scappata da casa, riesce grazie all'abnegazione, dal nulla a crearsi una carriera da soubrette col pomposo nome d'arte di Rita Buton, ma anche chi come l'arrivista Franca (Tamara Lees) che, dopo aver lasciato il ragazzo (Marcello Mastrojanni, scritto così nei titoli...) e l'occupazione da operaia, sposa un uomo ricco ma ripugnante e, rivedendo il proprio ex che ha fatto carriera, colta da un impulso, si toglie la vita (suicidio girato con una sequenza magistrale, facendo intuire l'atto con due pp della donna con lo sguardo rivolto verso una finestra spalancata, anch'essa inquadrata due volte, per poi staccare e facendo accadere il tutto fuori campo).

Ottimo il corposo cast, con Aldo Fabrizi a fare da mattatore assoluto, in un ruolo, per lui tipico (si pensi a 'Mio figlio professore' di Renato Castellani), sostanzialmente comico - straordinarie la gag con un barista (Aldo Giuffré) per carpire la tendenza politica di una futura platea e quella con un oste per tentare di pagare il conto con un assegno (ovviamente scoperto!) che il padrone rifiuta - ma segnato da un sottofondo intriso di amarezza e solitudine, e, negli altri ruoli principali, le suddette Lollobrigida e Lees, entrambe dotate di indubbia presenza scenica, una giovanissima Delia Scala e, in sole due scene, un Marcello Mastroianni che lascia comunque il segno.

'Vita da cani' è, insieme al solitamente più quotato 'Luci del varietà' di Federico Fellini e Alberto Lattuada, il miglior film fatto su un mondo destinato di lì a poco a scomparire.

Voto: 8.