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Padre padrone

Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film

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La recensione su Padre padrone

di Furetto60
8 stelle

Capolavoro indimenticabile, dei fratelli Taviani.

Storia vera, ispirata all’omonimo romanzo autobiografico di Gavino Ledda. A sei anni Gavino che vive in una piccolissima frazione di Sassari, è costretto bruscamente dal padre, ad abbandonare la scuola, perchè il genitore “Efisio” che comanda in famiglia, cosi ha deciso, non può fare a meno di lui , deve governare il suo gregge e contribuire così al sostentamento della famiglia. Strappato cosi drasticamente e prematuramente allo studio, inizia così la sua iniziazione alla vita pastorale,una vera e propria tribolazione, tra botte, soprusi e violenze di ogni tipo.Dopo una vita trascorsa in solitudine campestre, è un misantropo analfabeta, escluso dalla comunità civile,che sa parlare solo in dialetto sardo e non comprende l’italiano. Quando, dopo che una gelata ha distrutto il loro uliveto, Gavino vorrebbe emigrare in Germania, Efisio glielo impedisce. Il giovane ancora una volta subisce. Però giunto ai fatidici ventun’anni, dovendo adempiere al servizio militare, all’epoca obbligatorio, si deve inevitabilmente recare nel continente, qui finalmente può conoscere il mondo e approfittare di questa occasione, per ottenere il suo sospirato riscatto sociale e la sua emancipazione umana, rispetto al “padre-padrone” che lo aveva tiranneggiato fino a quel momento. Con l'affettuoso e valido aiuto di alcuni commilitoni, studiando alacremente e lavorando giorno e notte, sostenuto da una volontà incrollabile, s’incammina in un percorso di istruzione e informazione, impara a leggere a scrivere, poi rinnova la ferma, finché, ottenuta la licenza liceale, torna a casa, ma è ormai un’altra persona, è indipendente e ha acquisito coscienza dei suoi mezzi, non tollera più le angherie del padre,e quando Efisio prova a, rispedirlo sui campi, esplode la sua ribellione repressa fino ad allora, contro un padre che, di fatto e per necessità, è stato lo strumento del suo isolamento. Gavino ha con lui un drammatico faccia a faccia, che degenera, in uno scontro addirittura fisico, ma stavolta non soccombe, lascia la campagna e si laurea con una tesi sui dialetti sardi, poi diventa scrittore e insegnante di glottologia all’università. Il film liberamente tratto dal suo libro autobiografico vincitore del premio Viareggio, ottenne la Palma d’oro a Cannes e fu uno dei maggiori successi di pubblico per i fratelli Taviani. Ledda compì nel suo piccolo, una vera rivolta contro una concezione del mondo di matrice medievale, un sistema di rapporti perverso(quello pastorale sardo), la sua sotto-cultura monolitica e oscurantista, i suoi padri-padroni, patriarchi incapaci di comunicare, chiusi in una realtà ottusa e gretta. Acquisì vari strumenti di conoscenza, impadronendosi del linguaggio verbale, ma anche della capacità di scrivere, spezzando l’isolamento a cui era stato condannato e soprattutto superando la soggezione e la paura nei rapporti con il padre, ovviamente non del tutto colpevole, in quanto afflitto da un’ignoranza atavica, da tradizioni arcaiche e soprattutto da tanta miseria, morale e materiale. I registi, al solito, girano badando sia al contenuto che alla forma, il racconto è superbamente sospeso fra dramma realistico con respiro epico e fiaba popolare, brutale, quando non addirittura triviale, i ragazzini si accoppiano con le capre, per passare a momenti grotteschi, a un senso di straniamento surreale, con le didascalie che traducono il pensiero e l’indistinto vociare in sottofondo a rendere quanto più realistica la scena. I silenzi “assordanti”, poi le inquadrature sugli ampi spazi, nelle fasi di isolamento. Cinema di spessore e qualità, ma doloroso e dolente, intenso, sobrio e crudo. La pellicola ha quarant’anni, ma non li dimostra.

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