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Lili Marlene

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Lili Marlene

di kotrab
8 stelle

Lili Marleen è stato il film più costoso di Fassbinder, una produzione internazionale basata sulla biografia di Lale Andersen, alquanto marginale ma adatta nondimeno per essere sfrutatta in un dramma sentimentale, tanto più se immerso nel periodo delle persecuzioni naziste. È un film che il regista ha accettato di fare un po' per la sua natura onnivora, ma credo anche perché era una possibilità di approfondire la sua attrazione per un nuovo cinema melodrammatico per il popolo, in particolare tedesco. Diciamo che i compromessi non sono né evitati né totalmente accettati e il risultato ha fatto storcere il naso a molti critici severi, anche tra gli ammiratori.

La storia in effetti offre personaggi di poco spessore in quanto a psicologia, la cantante Willie (H. Schygulla) è solo una pedina del gioco, un ingranaggio del meccanismo dello spettacolo di consumo e uno dei tanti mezzi sfruttati dal regime dittatoriale, un burattino che la sorte porta al successo ma subito viene abbattuto. Risulta quindi interessante come riflessione del sistema in cui si trova a vivere e operare, seppur con scarsa coscienza, la quale ha come unico riferimento la ricongiunzione col proprio amato ebreo (G. Giannini); è una antieroina, semplicemente, una semplice donna trovatasi immischiata in avvenimenti più grandi di lei.

Fassbinder fa il possibile per dare dignità anche al suo film in fondo schizofrenico, da una parte ambizioso, dall'altra desideroso di coinvolgere il pubblico col melodramma, obiettivo assicurato dalla canzone del titolo, che ricorre (invero un po' troppo) lungo tutto il film, simbolo effimero e controverso del regime ma soprattutto conforto dei combattenti al fronte e reminiscenza del potere della musica, anche nella più semplice che abbia un minimo di distanza dal triviale. Un po' alla lontana una dicotomia parallela al film fassbinderiano.

In definitiva, non siamo certo di fronte al miglior Fassbinder ma nemmeno al peggiore, sarebbe un'ingiustizia con la puzza sotto il naso; è una visione che si segue bene, forse come si diceva appena sbilanciata nell'ammiccamento sentimentale che tuttavia non deborda mai (impossibile in RWF) e tecnicamente è affascinante nelle scenografie e soprattutto nella fotografia artificiosa e fredda di Xaver Schwarzenberger.

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