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Fabrizio De Andrè. Principe libero

Regia di Luca Facchini vedi scheda film

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La recensione su Fabrizio De Andrè. Principe libero

di nickoftime
8 stelle
E' inutile negarlo, chi ama il cinema è portato a rivolgersi alla produzione televisiva italiana con un pregiudizio in parte giustificato dalla progettualità eccessivamente semplificata della sua offerta. Ciò non toglie che, anche in questo settore, si siano fatti passi in avanti nel tentativo di assottigliare la distanza esistente tra il frequentatore della sala cinematografica e quello che preferisce la visione casalinga. Esistono poi, eccezioni che sembrano metter tutti d'accordo come si è verificato nel 2003 per "La meglio gioventù". In quel frangente la vittoria al festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard e la decisione di posticiparne la messa in onda sui canali Rai a favore di una (non prevista) distribuzione in sala, testimoniarono la possibilità di operare, da parte del regista, senza le preclusioni solitamente addebitate al mezzo televisivo. Non è qui il caso di ricordare i pregi del film in questione, così come il successo riscontrato anche al di fuori del territorio nazionale. Ciò che importa, ai fini del nostro discorso, è fornire al lettore una pietra di paragone per avvicinarsi a un lavoro come quello compiuto per portare prima sul grande schermo (uscita nei cinema il 23 e 24 gennaio) e poi sul piccolo (il 13 e 14 febbraio) "Principe libero", biopic dedicato a Fabrizio De André. In effetti le affinità tra il film diretto da Luca Facchini e quello di Giordana non mancano. In particolare non è da trascurare la coincidenza che vede oggi come allora Rai Fiction e la Bibi Film Tv di Angelo Barbagallo a capo del progetto. La versatilità del film e, quindi, la sua possibilità di adattarsi ai differenti media comincia innanzitutto dalla rivalutazione del concetto di popolare operata dagli autori: non più inteso come espediente che svilisce l'arte per puntare al botteghino (e ai dati auditel) ma viatico di un consenso derivato dall'universalità della proposta messa in campo.

 

Facchini, in accordo e, sopratutto, con il supporto testimoniale di Dori Grezzi, non punta al referto del corpus artistico-esistenziale del poeta genovese, e di conseguenza alla compilazione di una scaletta composta da una serie di date, fatti e personaggi pronti a darsi il cambio e a dar lustro alla celebrità di turno. Al suo posto sussiste una messinscena volta a trasfigurare la realtà conosciuta attraverso un processo d'astrazione che, da una parte, esalta idee, sentimenti e stati d'animo dell'uomo e dell'artista, dall'altra rimaneggia tutto ciò che non vi rientra. Facchini e gli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini (che De André oltre a studiarlo hanno avuto la fortuna di frequentarlo) scelgono una rappresentazione emblematica, riducendo il numero dei personaggi rispetto a quelli effettivamente frequentati in vita da De André, e avendo cura di assegnare a quei pochi la funzione di contenere uno o più dei movimenti che compongono la partitura narrativa del film. In questo senso Paolo Villaggio (il bravo Gianluca Gobbi), onnipresente sodale degli anni genovesi, diventa il modo per approfondire gli anni della formazione ma anche l'insieme delle relazioni amicali, Luigi Tenco e Riccardo Mannerini servono per circoscrivere le fasi della messa a punto del proprio istinto musicale, il padre Giuseppe, comprensivo ma pur sempre genitore, il modo con cui il film indaga l'insofferenza di De Andrè verso qualsiasi forma di autoritarismo, e cosi via.

 

Con una simile impostazione, a salire sugli allori è la capacità degli attori di incanalare le emozioni e di restituirle con verosimiglianza allo spettatore. In questo senso la prova di Luca Marinelli è tanto straordinaria quanto in linea con la natura del film. Lontano dal mimetismo hollywoodiano con il quale Gary Oldman sta per vincere il premio Oscar, Marinelli si avvicina a De Andrè in maniera empatica, rappresentandolo con umanità e irrequietezza finanche commoventi. Se, come crediamo, non mancheranno critiche a proposito del mancato uso dell'accento genovese da parte dell'attore romano, gli inserti musicali che lo vedono impegnato a suonare e a cantare le celebri canzoni riescono nel miracolo di riportare in vita e davanti ai nostri occhi il loro autore. Ma non finisce qui, poiché, alla stregua di quanto capitava ne "La meglio gioventù" anche "Principe libero" è l'occasione per radunare un ensemble d'attori che merita di essere seguito e valorizzato. Non potendo elencarli tutti, e volendone sceglierne almeno uno, optiamo per Elena Radonicich, la quale, nella parte della prima moglie del cantautore, riesce nell'intento di mostrare l'umanità di un personaggio più schivo e meno accattivante tra quelli che partecipano al film.

(pubblicato su ondacinema.it)
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