Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
Una trama sottesa di simboli sia visivi che nel dialogo vengono disseminati per utto il film, e tralucono qua e là segnando le tappe di un cammino proprio come le stelle dell'orsa disegnano nel cielo la costellazione. Brusche virate, bruschi accostamenti quasi cacofonici fra immagini e musica creano fantasmi fole spettri in controluce. La città dei morti Volterra, inghiottita lentamente dalle balze, il convento abbandonato dopo la vita mondana di Ginevra e il lungo percorso in macchina all'improvviso si piomba nella necropoli, gli etruschi come gli ebrei, gli ebrei come gli etruschi (la bellezza oscura, dolorosa di Sandra che è ebrea ma che è bella come una terracotta etrusca), sterminati e cancellati dall'oppressore (romani come nazisti etc.), che tornano a luce come urne di alabastro -pietra opaca e traslucida come un sudario - come busti ricoperti di lenzuola ("mi dispiace ma non ci sono fantasmi qui"), il palazzo labirinto come un guscio in cui il tempo s'interrompe (il biglietto lasciato nell'orologio con amore e psiche), tempo arcaico in cui si consumano i gesti arcaici (l'incesto), che vanno cancellati dimenticati. Su tutti scintilla la nostalgia del ritorno dell'infanzia felice o meno infelice di ora (la citazione di Leopardi), la cisterna come utero in cui si trapassano le ere e si torna alla terra, all'al di là, Sandra e Gianni come Oreste ed Elettra (non come Amore e Psiche troppo levigati troppo bianchi). La storia sembra quasi non reggere e piano piano passa sotto silenzio, la recitazione è tutto meno che naturalistica. I significati stanno altrove in quella rete silenziosa di memorie e di stelle.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta