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C'eravamo tanto amati

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su C'eravamo tanto amati

di omero sala
8 stelle

 

locandina

C'eravamo tanto amati (1974): locandina

 

Chi - come me - è vissuto nella seconda parte del ‘900 non può non amare questo malinconico film che si rivela una sintesi acutamente lucida del periodo storico e, nello stesso tempo, è anche la raffinatissima cronaca delle personali esperienze esistenziali, politiche e sentimentali di chi in quel periodo è, più o meno felicemente, vissuto.

Il titolo è preso dall’incipit di “Come pioveva” una popolare (e malinconica) canzone del 1918, riproposta nel dopoguerra da Vittorio De Sica al quale è dedicato il film. (La canzonetta dice: C’eravamo tanto amati, per un anno forse più, c’eravamo poi lasciati, non ricordo come fu; ma una sera c'incontrammo, per fatal combinazion perché insieme riparammo dalla pioggia in un porton…).

Il cast comprende una carrellata di attori notevoli: Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Stefania Sandrelli, Stefano Satta Flores, Giovanna Ralli, Aldo Fabrizi,  E nel film compaiono, interpretando se stessi, Mike Bongiorno (in una scena del famosissimo programma Lascia o raddoppia, al quale partecipa uno dei protagonisti) e Fellini con Mastroianni (nella scena in cui un altro protagonista compare sul set de La dolce vita quando la Anitona (Ekbert) si immerge nella Fontana di Trevi). 

La trama ripercorre 30 anni della storia italiana, dal ’44 al ’74, raccontando le intricate vicende di tre compagni, Gianni, Antonio e Nicola, ex-partigiani legati da un profondo affetto consolidato dagli ideali antifascisti e dalle esperienze condivise; amici sempre legatissimi, fratelli di lotta, anche se diversi per indole, estrazione sociale, aspirazioni.

I tre, infatti, alla fine della guerra hanno imboccato strade diverse, hanno affrontato diversi destini, guidati da impulsi diversi: il cinefilo Nicola (Satta Flores) è tornato al sud, a Nocera, a fare l’insegnante, impegnato anche nel sociale; Antonio (Manfredi) ha ripreso il suo lavoro di portantino in un ospedale romano; Gianni (Gassman), a Pavia, ha ripreso gli studi per laurearsi in giurisprudenza. 

Le strade dei tre divaricano anche politicamente: Nicola e Antonio rimangono fedeli ai loro ideali originari (e infatti l’intransigente Nicola viene licenziato dalla scuola perché troppo impegnato a sinistra e finisce a Roma dove sopravvive ai margini del circo degli intellettuali falliti scribacchiando recensioni di film; il comunista Antonio viene emarginato per il suo impegno politico e sindacale, ma persevera caparbio nei suoi sogni rivoluzionari). 

Gianni invece, ambizioso e arrivista, diventa avvocato, sposa la figlia di un palazzinaro ricchissimo e fascista (Fabrizi) e si ingegna a favorire i loschi affari del suocero aspirando e ereditarne l’impresa.

Fra i tre si inserisce, divisiva, la bella Luciana (Stefania Sandrelli), una provincialotta che aspira a diventare attrice: prima si mette con Nicola, poi si lascia sedurre dal disinvolto Gianni che però la pianta per curare i suoi poco limpidi interessi; respinge la corte di Antonio, innamoratissimo, per cercare di farsi strada nel cinema; si sposa (male) con un bidonista che millanta contatti e promette carriera e si adatta infine a fare la maschera in una sala cinematografica per mantenere i due figli avuti dal marito che l’ha abbandonata. Finché, ormai vinta, incontra per l’ennesima volta Antonio, il suo vecchio ostinato spasimante più volte respinto, e si mette con lui, forse perché il suo intuito femminile gli dice che Antonio è il più genuino degli uomini che l’hanno corteggiata, forse per stanchezza, forse per riassaporare i confusi calori della giovinezza e riappacificarsi con quelli e con se stessa.

Passano i decenni, siamo nel 1974, i tre si reincontano (“per fatal combinazion”), tornano a cenare nella trattoria in cui tutto è cominciato. I vecchi tempi li affratellano, ma le vicende esistenziali li hanno profondamente e amaramente trasformati: non possono che tornare ad accapigliarsi, soprattutto Antonio e Nicola, i due idealisti; mentre Gianni, consapevole della sua radicale metamorfosi da traditore, tenta di mediare, se non altro per cercare di preparare il terreno per rivelare le sue imbrogliate vicende e la sua vigliaccheria. La cena finisce in una convulsa zuffa (nella quale Gianni perde la patente che viene raccolta da Antonio che per errore la consegna a Nicola). 

Antonio li accompagna ad un presidio notturno di genitori accampati davanti a una scuola per iscrivere i figli: lì in fila c’è Luciana. Gianni è sconvolto dall’incontro inatteso che lo mette di fronte ai suoi fallimenti esistenziale e alla sua solitudine: con dolorosa nostalgia balbetta il suo amore immutato per Luciana, che però confessa serenamente di averlo cancellato dalla sua mente e dal suo cuore il giorno dopo di essere stata da lui abbandonata.

Gianni si allontana frastornato; Nicola si ritrova in tasca la sua patente e, insieme ad Antonio, decide di andare all’indirizzo dell’amico per restituire il documento: e così i due scoprono allibiti Gianni che si tuffa nella lussuosa piscina della sua sfarzosa villa. Avviliti, lasciano la patente sul muretto di recinzione e se ne vanno. 

 

Il film è tristissimo. Non poteva essere diverso. È desolante raccontare di amare metamorfosi, di sconfitte e rimpianti, di premesse tradite e di aride rassegnazioni, di illusioni e di delusioni, di ideali sgretolati e di speranze disattese. 

Devastante è la descrizione lucida dei tre fallimenti: quello del comunista Antonio travolto e superato dalla realtà nella sua caparbia coerenza; quello del radicale Nicola, impotente nella sua idealità pura che lo relega ai margini di una società corrotta; e quello di Gianni, il socialista voltagabbana, che si macera nei rimpianti dopo essersi svenduto.

Ma ancora più devastante è la costernazione che ci assale con la consapevolezza che quel fallimento investe tutti quelli che hanno creduto in una palingenesi, tutti quelli che sono usciti dalla guerra per fare la Storia, non per subirla, tutti quelli che si sono liberati dal fascismo sognando di “conquistare la bella primavera”. 

E invece assistono allo sfaldamento di ogni ideale e al trionfo del buzzurro Romolo Catenacci (Aldo Fabrizi), il vecchio palazzinaro fascista che urla a Gianni, disilluso e roso dai rimorsi: "Tu non scappi e io nun moro!”, proclamando con arroganza la vittoria del malaffare sugli ideali, l’impossibilità di liberarsi dalla avidità e l’immortalità del potere corruttivo.

 

Una piccola nota, da cinefilo: anche in questo film, come in altri, Scola compie sul piano narrativo escursioni storiche che analizzano l’evoluzione dei personaggi nel tempo, che delineano caratteri e psicologie che mutano col passare degli anni: come a voler dire amaramente che la Storia da sempre piega e plasma le persone, impotenti di fronte ai suoi inesorabili flussi (vedi Ballando, ballando, del 1983, e La famiglia del 1987).

Sempre da cinefilo, mi piace sottolineare i numerosissimi riferimenti che Scola fa al Cinema (salti temporali con flashback in bianco e nero, voce narrante, camei di De Sica, Fellini, Mastroianni, scene di un cineforum, citazioni di De Sica, Fellini, Antonioni, Resnais, Ejzenštejn, Cromwell, dialoghi con lo spettatore dei protagonisti che, ogni tanto, si estraniano dalla scena e parlano con la platea guardando “in macchina”,).  

 

Tre citazioni:

Nicola: “Credevamo di poter cambiare il mondo e invece il mondo ha cambiato noi”.

Gianni: “Il futuro è passato e noi non ce ne siamo accorti”.

Antonio: “Boh!”

 

Stefano Satta Flores, Stefania Sandrelli, Nino Manfredi

C'eravamo tanto amati (1974): Stefano Satta Flores, Stefania Sandrelli, Nino Manfredi

 

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