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Chato

Regia di Michael Winner vedi scheda film

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La recensione su Chato

di scapigliato
8 stelle

La forza del film, oltre che al cast, sta nell’unità d’azione, poco visitata dalla cinematografia standard che preferisce mettere un prima e un dopo e un sacco di “perché spiegati” a condire la sceneggiatura. Mentre invece il regista Michael Winner, che fa coppia con Bronson fin da “Il Giustiziere della Notte”, sceglie di partire in quinta con un meticcio, metà bianco e metà Apache, che per difendersi uccide uno sceriffo bianco. Subito si apre una sadica quanto logorante caccia all’uomo, o meglio all’indiano visto che il razzismo è il primo tratto caratterizzante della cricca messa su da un Jack Palance a metà strada tra un guerrafondaio nostalgico e un vecchio uomo che inizia a ragionare sull’inutilità dell’odio e della violenza. Grande protagonista del film è la bellissima Almeria con il suo deserto di Tabernas che sa dare suggestione al paesaggio inospitale in cui si trovano i disperati cacciatori, così come sa diventare duplice specchio dei suoi personaggi. Per Chato è la casa, la sua terra, ospitale ed accogliente per la vita che lui vuole fare; inospitale, assassina e vero e proprio cimitero per chi invece lo insegue. Con il “Noi non dovremo essere qui” che sentenzia uno degli stanchi inseguitori si chiarisce la dimensione metaforica della pellicola, che non è soltato un gran bel western, ma è anche la rappresentazione dell’americano che dà la caccia ai suoi scheletri. Chato è il libero uomo primitivo che l’America, dopo l’Indipendenza e il successo nordista della guerra di Secessione, ha drammaticamente perso. E’ razzista, violenta, cerca il successo e la vittoria, e s’arroga la parte di Dio nei suoi crimini. Inseguire Chato vuol dire inseguire quella dimensione di libertà che per i più è solo una bella facciata da preservare, nascosta tra le trame dell’impulso ossessivo-compulsivo della rigida morale americana. Inseguirlo e linciarlo è un modo per mantenere tranquilli i dubbi e gli scheletri nascosti che se affiorassero sconquasserebbero non poco l’uomo medio americano. L’irrefrenabile voglia di sadismo e finta giustizia è un’orgasmo a cielo aperto, una vera masturbazione di massa, in un paese che da sempre condanna il sesso per giustificare e idolatrare il mito della forza violenta. Ecco che nei brevi sprazzi di lucidità un feroce tagliagole si convince che “Noi non dovremo essere qui”, così come non sarebbero dovuti essere in Corea, e più avanti in Vietnam, Mogasiscio, Iraq e Afganisthan da ultimo. Film impagabile, come impagabile è il muto Charles Bronson (poche battute e per la metà in indiano). Per Bronson parla il suo volto di pietra, il suo corpo selvaggio, e quella bellissima terra almeriense che gli fa da casa e da altrove libero e primitivo.

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