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Apocalypse Now

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su Apocalypse Now

di Texano98
10 stelle

Ancor prima dell'uscita de Il cacciatore di Cimino e a neanche un anno da quel Primo Maggio del 1975 - con quel "titolo rosso" cantato da Claudio Lolli, - quando il Vietnam del Nord trionfò definitivamente sulla repubblica del Sud, Francis Ford Coppola era già con gli occhi a scoprire gli scorci delle Filippine, cercando i luoghi migliori dove allestire il proprio Vietnam. Per Coppola furono anni da capitano alla guida di una nave in piena tempesta quelli dal Marzo 1976, quando cominciarono le riprese del film, fino al Maggio del 1979 in cui l'opera è finalmente uscita al Festival di Cannes, fra incidenti sul set e fiumi di pellicola girata, tagliata e rimontata, come un'esplosione artistica senza pace, costretta a quietarsi soltanto per poter uscire nelle sale ed essere vista dal pubblico.
E' difficile razionalizzare e parlare di un'opera come Apocalypse Now, così lontana, ad esempio, dalla narrazione lucida delle prime due grandiose parti de Il padrino. L'immagine della piccola imbarcazione su cui viaggiano i protagonisti, inoltrandosi per i misteriosi canali della giungla vietnamita, rappresenta quella che è una traversata senza mai raggiungere terra, anche quando avviene materialmente: mano a mano che questo viaggio si inabissa il vissuto somiglia sempre più a un miraggio; per sopravvivere a questa spedizione suicida i personaggi sono costretti a buttare in acqua la loro mente, raziocinio, sangue e ogni costrutto morale. L'esplosione lisergica inizia con il napalm sugli alberi e con il nostro Willard che, prigioniero di un'immobile dissolvenza incrociata, sente le fiamme davanti agli occhi mentre un ventilatore gli secca il sudore sul volto; da quel momento l'avventura continua in discesa, di incontro in incontro, guardando in faccia tutte le espressioni della stessa guerra senza fine, come fosse un moloch impossibile da abbattere: il tenente Kilgore e il suo folle idillo per il surf, sprazzi della commedia nera con cui Kubrick imbeverà il suo Full Metal Jacket; le conigliette di Playboy che con il loro elicottero atterrano su una terra cupa che sembra l'inferno, infestata da uomini imbruttiti e saturi d'ormoni; l'oasi dei francesi che si aggrappano al passato e piangono su un presente che appare come lo spettro di ciò che è già accaduto; quel mesto ponte che segna il confine con la Cambogia e a voltarsi indietro, è facile immaginarlo, non si ha più memoria da dove si provenga; poi, infine, il villaggio di Kurtz e dei suoi adepti, là dove non sembra esserci neppure futuro, solo un delirio sconfinato.
Il bello di questa marcia forzata, ed è un monito a non banalizzare Apocalypse Now e i suoi contenuti, è che non restituisce allo spettatore uno scontato grido contro tutte le guerre, facendo un unico fascio omologante, assolvendo e dimenticando oppressi e oppressori di ogni tempo, così come invasi e invasori: l'opera di Coppola è un film sulla vietnamizzazione dell'americano comune, nella maggior parte dei casi un giovane ritrovatosi con un'arma in mano senza aver un briciolo di consapevolezza del perché avrebbe sparato e perché avrebbe potuto perdere la vita così lontano da casa. E' una codificazione in immagini del dramma vissuto da una nazione (specialmente la parte più povera), uno strumento per capire l'incomprensibile, e non mi stupirebbe scoprire di reduci del conflitto che, rispecchiatisi a tal punto nell'intreccio, sono caduti in lacrime perché consapevoli di essere sopravvissuti a un viaggio nelle tenebre più oscure.
Al tempo stesso, questo sì, il film di Coppola è un'opera psicologica dall'impronta universale, capace di trasmettere, al di là del contesto particolare, la fragilità della mente umana e di come sia permeabile ai capricci dell'ambiente esterno, con i suoi imprevedibili capovolgimenti, in pace come in guerra - e nelle sottili pieghe che separano una situazione dall'altra - ed è quindi, oltre al primo livello di film sulla guerra e nello specifico sulla Guerra com'è stata vissuta nel Vietnam, un'opera esistenziale, che va a scrutare nel cuore di ciò che è l'uomo, una dissertazione sull'esistenza che non sarebbe sbagliato accostare al cinema di Antonioni (nei momenti più nitidi) o di Lynch (quando si precipita nel miraggio) anche se, a uno sguardo superficiale, si potrebbe pensare di essere davanti a tutt'altra storia

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